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 2012  agosto 21 Martedì calendario

Sul ring della giustizia: sentenza con lo sconto per il pugile olimpionico - Un pugno lungo quasi trent’anni

Sul ring della giustizia: sentenza con lo sconto per il pugile olimpionico - Un pugno lungo quasi trent’anni. Un montante che ha lasciato basito l’avversa­rio, la Cassa edile della provincia di Caser­ta. Un colpo sferrato su un ring davvero spe­ciale: quello della sezione lavoro del tribu­nale di Santa Maria Capua Vetere. Angelo Musone, boxeur di successo negli anni ot­tanta, è infatti il primo cittadino a memo­ria d’uomo che ottenga uno sconto dalla giustizia per «meriti sportivi». Sì, testuale, lo scrive il giudice nella sentenza con cui chiude la contesa fra l’ex pugile campano e il suo datore di lavoro. Per il magistrato ap­pare «equo compensare le spese di lite in misura pari alla metà» e questo solo «in considerazione dei meriti sportivi del ri­corrente ». Ovvero, Musone. La giustizia premia dunque un atleta dal passato glorioso. Musone, classe 1963, par­tecipò ai giochi di Los Angeles dell’84 e se la cavò alla grande: strappò il bronzo nella sua categoria, quella dei pesi massimi, e se si consulta quell’enciclopedia popolare chiamata Wikipedia si scoprirà che Muso­ne, diciotto successi su diciannove incon­tri in carriera, fu fermato solo in semifinale dallo statunitense Henry Tillman, al termi­ne di un incontro a dir poco controverso. Alla fine del match, l’americano barcolla­va e l’italiano, entusiasta,raccoglieva l’ap­plauso del pubblico sicuro del suo succes­so. Invece i giudici, forse complice il clima casalingo, rovesciarono il risultato. Spinse­ro avanti Tillman. In pratica lo stesso scip­po subito da Roberto Cammarelle a Lon­dra. Quest’anno un altro magistrato gli ha re­stituito l’onore macchiato allora, solo che la riparazione è arrivata da una causa di la­voro, una delle tante che affollano le no­stre aule. Dunque, Musone aveva chiama­to in causa la Cassa edile che, secondo lui, non gli aveva riconosciuto le mansioni svolte. In sostanza, era stato assunto come impiegato di II categoria e III livello, ma so­steneva di svolgere un lavoro da I categoria super. Come la sua stazza. Il giudice ha studiato le carte, ha sentito i testimoni e ha concluso che, purtroppo, la medaglia di Los Angeles non aveva diritto al salto di categoria: «Le sostituzioni, infat­ti, avevano durata di un giorno a settima­na ». Tropo poco per garantire un lieto fine, come nelle favole. E comunque non c’era­no i presupposti per il passaggio, più diffici­le di quello del mar Rosso. Tutto finito? Sì e no. Sì, perché la carriera professionale del colosso di Marcianise si è fermata lì, no perché il giudice gli ha co­munque tributato una sorta di standing ovation. Persa la causa, Musone avrebbe pure dovuto metter mano al portafoglio e invece che cosa ha stabilito il magistrato? «Le spese di lite seguono la soccombenza, apparendo equo compensarle in misura pari alla metà, in considerazione dei meri­ti sportivi del ricorrente». Il vocabolario è tutto tecnico, con parolo­ni che sembrano bendaggi sul corpo soffe­rente del linguaggio. Ma il senso è chiaro; anche se non si era mai sentita una storia del genere,la magistratura s’inchina al pu­gno del pes­o massimo che a suo tempo ave­va fatto sognare gli italiani. Così, in barba a tutte le regole, Musone pagherà solo il cin­quanta per cento delle spese di lite: in una diatriba in cui i costi sono già ridotti all’os­so come quella del lavoro verserà solo la metà dell’onorario ai legali di parte avver­sa. A spanne, almeno tre-quattromila eu­ro. Non è molto, ma non è nemmeno poco per un pugno andato a segno nell’estate del 1984.