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 2012  agosto 22 Mercoledì calendario

COSI’ LA BUROCRAZIA FRENA L’ITALIA

C’è qualcosa che proprio non funziona nel rapporto tra Stato e imprese. Il primo, ad esempio, non paga le fatture (per un debito complessivo da 70 miliardi ) o la fa con grande ritardo. E poi, come se non bastasse, avvelena pure l’attività di mercato ingolfandola di burocrazia. Tra file agli sportelli, moduli da compilare, scartoffie da riempire, oneri e gabelle varie, le aziende italiane lasciano sul terreno 23 miliardi all’anno. Una cifra enorme, intorno all’1,5% del Pil. La stima l’ha fatta il Centro studi di Confartigianato in un rapporto che il Messaggero ha potuto consultare. E che mette il dito nella piaga su uno dei mali storici del Paese.
Come ha denunciato non più tardi di due mesi fa anche il presidente della commissione europea, Manuel Barroso, che ha indicato proprio nell’Italia «un esempio da non imitare» sul tema delle relazioni tra amministrazioni pubbliche e imprese. Secondo gli esperti della Confederazione degli artigiani, ciascuna azienda, grande o piccola, sacrifica sull’altare della burocrazia oltre 5 mila euro di media. E si calcola che gli amministratori spendano 86 giorni all’anno (12 in più rispetto all’anno scorso) solo per sbrigare gli affari necessari per mettersi in regola con le leggi.
Fisco, previdenza, sicurezza e altre incombenze di varia natura si mangiano complessivamente 123 milioni di giornate lavorative. Una mole impressionante. Tanto che il rapporto, con una provocazione, sottolinea che, nei fatti, fino al 30 aprile le imprese lavorano per accontentare le pretese dello Stato. E che solo da quel giorno in poi possono cominciare a pensare a mandare avanti l’attività. Forse un po’ eccessiva come metafora, come nel caso del tax freedom day (il giorno che celebra la liberazione dalle tasse ). Però rende bene lo stato delle cose, soprattutto se si guarda ai problemi nel dettaglio. Perché avvicinando la lente d’ingrandimento sul sistema tributario, ad esempio, si scopre che solo nell’ultima legislatura (dunque in poco più di 4 anni) il Parlamento è riuscito a emanare la bellezza di 403 norme fiscali. Delle quali ben 222 con impatto burocratico. Confartigianato osserva che la macchina fiscale riceve dunque una modifica del telaio, magari minima, ogni 6 giorni. Costringendo gli imprenditori ad attivare un filo diretto coi commercialisti. Con perdita di tempo e denaro. Senza considerare la difficoltà di riuscire programmare lavoro e investimenti nel mezzo di un contesto in continua evoluzione. Di contro sono pochissime le norme che semplificano la gestione fiscale delle aziende (appena 64 nella legislatura). E la politica di semplificazione rischia in questo modo di diventare come la tela di Penelope in quanto per una norma che semplifica ne vengono emanate 3,5 che hanno un impatto burocratico sulle imprese. «La semplificazione della burocrazia – osserva così Giorgio Guerrini, presidente di Confartigianato e di Rete Imprese Italia - è una bandiera agitata non si sa più quante volte. Eppure oggi gli oneri amministrativi continuano a pesare sulle aziende italiane. La crisi che sta sconvolgendo l’economia non lascia più alibi: bisogna modificare immediatamente le condizioni che vincolano le imprese e frenano la ripresa economica. Bisogna realizzare finalmente e in concreto la semplificazione del sistema burocratico». Certo, a guardare le cifre, la montagna da scalare appare senza fine.
L’indagine snocciola il rosario delle diverse voci che compongono il costo della burocrazia. E in cima alla lista, leader indiscussi, ci sono i 10 miliardi di oneri dei settori lavoro e previdenza. Seguiti dai 3,4 miliardi del comparto ambiente e dai 2,7 miliardi che si porta via il fisco. Più giù gli investimenti per la sicurezza sul lavoro (2,3 miliardi) e le norme sulla privacy (2,2 miliardi). La stessa percezione degli imprenditori parla di un rapido deterioramento nei rapporti con la burocrazia.
Secondo un sondaggio realizzato presso i propri associati, la gestione di procedure e pratiche amministrative è nettamente peggiorata negli ultimi 12 mesi e la cosa è stata avvertita dal 31%, mentre solo il 5% degli imprenditori ha riscontrato un miglioramento. Occorre ricordare che alcuni giorni fa il governo, facendo il punto sul piano anti-burocrazia lanciato con la legge di stabilità e con il decreto Semplifica-Italia ha dichiarato che grazie all’autocertificazione, da gennaio ad aprile 2012, i documenti anagrafici rilasciati presso gli sportelli dei Comuni sono diminuiti del 53,6%, mentre quelli di stato civile si sono ridotti del 37%. Un dato che proiettato su base annua, secondo il ministro Filippo Patroni Griffi, porterebbe a una riduzione di almeno 24 milioni di certificati. Uno sforzo lodevole.
Il problema è che si tratta di imbiancare muri incrostati da anni di incuria. Confartigianato rileva che, nonostante il moltiplicarsi delle opportunità offerte dai servizi on line, nell’ultimo decennio le code per cittadini e imprese sono aumentate implacabilmente. Infatti la quota di utenti che dichiarano attese di oltre 20 minuti per accedere al servizio anagrafe, dal 2001, è cresciuta di 4,9 punti arrivando al 17,3% e le file alle Asl sono salite di 8,4 punti arrivando al 48,5% del 2011. All’ufficio postale, poi, la fila per una raccomandata è raddoppiata crescendo di 15 punti e arrivando al 32%, mentre per un versamento in conto corrente c’è stato un aumento di 5,2 punti toccando il 47,6%. Il popolo di internet è passato dal 27% del 2001 al 51,5% del 2011, ma la burocrazia italiana non sembra essersene accorta. E un semplice confronto evidenzia la scarsa efficienza nell’utilizzo della rete, da parte delle P.A., per ridurre le code. Infatti, nello stesso decennio esaminato per gli sportelli dello Stato, la quota di utenti delle banche che rileva attese agli sportelli di oltre 20 minuti si riduce di un terzo, passando dal 21% del 2001 al 14% del 2011, con una diminuzione di 7 punti.