Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 21/8/2012, 21 agosto 2012
L’ULTIMO TUNNEL DI CASSANO
Verso Milanello nell’indifferenza più assoluta e con un soprannome, Pazzo, che vestirebbe bene solo Antonio, l’altro elemento dello scambio, affronta l’ennesimo Monòpoli della sua vita ripartendo dal via. Più vicino ai trenta che ai venti, a solo 4 giri di orologio dal tempo limite, già manifestato in una fortunata biografia di Pierluigi Par-do: “Mi sono fatto 17 anni da disgraziato e 9 da miliardario, me ne mancano ancora 8, prima di pareggiare”. Che il regno del scritta “Interello”. Il borsone in nero e azzurro. Il marchio dei Fiorucci, i salumi preferiti dall’antenato di Moratti, Ernesto Pellegrini, sulla borsa da riportare in treno, mentre intorno, i migranti di ritorno offrivano salame e consolazione. È fatta, dicono. Quasi 20 anni dopo. Lui da Stramaccioni (che oltre a imitarlo benissimo, dovrà trovare posto all’irrequietezza cronica che, anche in Polonia, giurano, abbia disturbato il gruppo di Prandelli fino alla
L
i provocava tutti nello stesso modo. Finta e controfinta. Tunnel e parole: “Il vizio uguale di tua madre c’hai: stai sempre con le gambe aperte”. Quelli impazzivano. Scivolavano nei meandri semantici più oscuri del barese: Tremòn(sega, ndr), culrutt e cercavano giustizia sommaria mentre Antonio era già altrove. L’ha rifatto. Ancora una volta. L’amore eterno declinato in tradimento. La bandiera che sa trasformarsi in banderuola. L’Inter al posto del Milan.
COME all’epoca in cui il borsone con l’accappatoio soffocava nella pedaliera della Vespa, i “figghie ‘e papà” potevano permettersi di cambiare fede e squadra davanti al prato del Subbuteo e nei vicoli della città vecchia, sulla porta, le matrone si passavano la foto del figlio di Giovanna. Il miraggio della fuga in una Polaroid. Lui, minuscolo 14enne sotto la sentenza senatoriale: “Lui, qui, mai più”) e Pazzini da Allegri. L’allenatore che fu eversivo Cassano in gioventù (mollò la sposa e duemila invitati sull’altare) e sullo spartito del Milan depresso di oggi, non trova più la nota lieta, ma quella di un realismo che alle illusioni, destina la casella dell’inessenziale. Così mentre l’ex compagno di una Sampdoria già sepolta, viaggia sto. Al Milan avrebbero voluto che imitasse Mourinho. Dopo la prima conferenza stampa, a Cassano era sembrato uno “con due coglioni grandi come una casa”. Nel buio attuale, si aspettavano una frase. Una cassanata utile a sollevare il morale. Un “ci penso io”. Al posto dell’invocazione aziendalista, nel pomeriggio in cui aveva trovato modo di distinguersi su temi altri: “Froci in nazionale? Speriamo di no”, Cassano era andato in direzione ostinata e contraria. Rimpiangendo Ibrahimovìc e Thiago Silva. Scrollandosi responsabilità e bugie presidenziali dalla maglia. “Così non si vince” disse. E nonostante la filiale protezione societaria ricevuta ai tempi del temuto infarto, strappò il velo. Così, il peggio forse sta proprio nell’inerzia. Cassano va all’Inter senza idealismo. Cambia monolocale e non progetta di arredarlo. Timbra il cartellino con il sospetto che comunque vada, in attesa di un domani genovese (l’ultimo teatro per la replica finale è già stato scelto) l’avventura si riveli più un automatismo tra dirigenti attenti alle plusvalenze che un vero e proprio desiderio. Di Cassano sapevamo quasi tutto. Gli arbitri cornuti, la pigrizia, i lettini dello spogliatoio piegati dal moto ondulatorio: “Ne ho trombate molte, anche in ritiro”. Ignoravamo non lottasse più per decidere in prima persona. Il Cassano antico non l’avrebbe fatto. Gli sarebbe bastato il sospetto di essere usato. Effetto ottico. L’Inter sembra un lampo di coraggiosa incoscienza, ma la luce, a guardar bene, sembra spenta.