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 2012  agosto 22 Mercoledì calendario

NERO DI INTESA

Milano
Eccola, la frase che chiama in causa Banca Intesa. Ecco le parole che giustificano dubbi e sospetti sul ruolo dell’istituto milanese, all’epoca guidato dal ministro Corrado Passera, nel caso Giacomini, una storia di frode fiscale e riciclaggio da centinaia di milioni di euro. Sono poche righe messe nero su bianco dal giudice per le indagini preliminari Vincenzo Tutinelli. “Si ha motivo di ritenere - scrive il magistrato milanese - che tale sistema sia messo a disposizione dei grandi gruppi economici italiani da funzionari ed ex funzionari del gruppo Banca Intesa Lussemburgo - con la probabile complicità della banca - per costituire fondi neri nel Granducato di Lussemburgo ed ivi riciclarli”.
IL DOCUMENTO firmato dal gip Tuminelli porta la data del 22 giugno ed è l’ordinanza che ha confermato la custodia in carcere a Milano per il broker internazionale Alessandro Jelmoni, arrestato a metà maggio con l’accusa di aver architettato e gestito la complessa struttura off shore che ha consentito alla famiglia Giacomini, titolare dell’omonima grande impresa con sede vicino a Novara, di nascondere al fisco qualcosa come 200 milioni di euro. È proprio questo il sistema a cui fa riferimento il magistrato. Un reticolo di società lussemburghesi gestite da una pattuglia di amministratori, molti dei quali avevano lavorato in Lussemburgo nelle fila del gruppo Intesa insieme a Jelmoni. Quest’ultimo vanta stretti rapporti personali con Marco Bus, numero uno della Sociétè Europèenne de Banque (Seb), che di fatto è la filiale di Intesa nel Granducato.
Una decina di giorni fa Jelmoni è uscito dal carcere ed ora si trova ai domiciliari nella sua lussuosa abitazione nel centro di Milano. Sono invece stati rimessi in libertà Corrado ed Elena Giacomini, fratello e sorella, per anni veri dominus del gruppo di famiglia dopo aver estromesso, secondo l’accusa, il padre ottantenne Alberto e il fratello più giovane Andrea. È stato proprio quest’ultimo a dare il via all’inchiesta penale. Un’inchiesta che nelle settimane scorse si è divisa in tre tronconi affidati per competenze alle procure di Milano, Novara e Verbania.
TUTTO NASCE però dalle dichiarazioni di Andrea Giacomini, che ha denunciato i famigliari, consegnando ai pm della procura di Verbania, il procuratore Giulia Perrotti e il sostituto Fabrizio Argentieri, decine di ore di conversazioni registrate di nascosto durante le riunioni in cui si discuteva del denaro nascosto all’estero e di come depistare le indagini dell’Agenzia delle Entrate, che nel 2010 (meglio tardi che mai) aveva rilevato flussi di denaro anomali dai conti dei Giacomini verso il Lussemburgo.
Come il Fatto Quotidiano ha raccontato (articoli del 7 e dell’8 luglio) il denaro nero della famiglia piemontese, gestito da Jelmoni, è stato depositato proprio nella banca lussemburghese del gruppo Intesa, che all’epoca dei fatti oggetto di indagine era guidato dal futuro ministro Passera. Bus è indagato per concorso in riciclaggio, mentre la Seb è finita sotto inchiesta a Milano per violazione della legge 231 sulla responsabilità amministrativa delle imprese.
INTESA nelle settimane scorse ha annunciato di aver avviato un’indagine interna sulla propria controllata nel Granducato. Come dire: se ci sono state irregolarità restano comunque un fatto circoscritto alla filiale di Lussemburgo. In attesa dei risultati delle indagini (quelle aziendali e quelle della procura) va detto che la Giacomini spa, marchio importante nella rubinetteria, era grande cliente di Intesa anche in Italia. Di più: agli atti dell’inchiesta ci sono anche le registrazioni di almeno un incontro tra un dirigente di Seb delegato da Bus, i Giacomini padre e figli e un manager di Intesa. Questo incontro si sarebbe svolto a febbraio 2011 nella sede milanese della banca in piazza della Scala.
Il patron Alberto, preoccupato per il futuro dell’azienda, avrebbe voluto smontare il marchingegno societario messo in piedi da Jelmoni e riportare i suoi soldi in Italia. I dirigenti di Intesa cercavano invece di convincere l’anziano imprenditore a lasciare le cose come stavano. Non per niente. Secondo quanto è emerso dalle indagini della procura di Verbania, il tesoro milionario della famiglia piemontese, tra interessi e commissioni, fruttava lauti guadagni alla banca. Profitti garantiti dal lavoro di Bus e dell’amico Jelmoni. Il quale, a quanto pare, non è il tipo che usa giri di parole. C’è da mettere al sicuro un tesoretto frodato al fisco? Nessun problema. “Vuol dire che mando su i soldi a Dubai e poi magari il veicolo incassa i soldi a Singapore”. Così si esprime il broker finito agli arresti in una conversazione registrata da Andrea Giacomini e finita agli atti dell’inchiesta. E perché mai proprio a Dubai e Singapore, luoghi in verità piuttosto fuori mano? Ecco la risposta: “Sono due Paesi che proprio non rispondono né agli scambi di informazioni né alle rogatorie”. Chiaro? Chiarissimo.