Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 22/8/2012, 22 agosto 2012
L’ORO RIMBALZA E SUPERA 1.640 DOLLARI
L’oro ha rotto gli argini. Dopo oltre tre mesi in cui a stento – e solo per brevissimi periodi – era riuscito a varcare la soglia dei 1.620 dollari l’oncia, il lingotto ieri ha superato di slancio non soltanto i 1.630 $, che costituivano un’importante resistenza, ma anche i 1.640 $, raggiungendo sul mercato spot londinese un picco di 1,641.20 $/oz. Livelli ancora lontani dal record, oltre 1.920 $, raggiunto a settembre dell’anno scorso, ma abbastanza elevati da rinfocolare la tentazione di mettere a frutto le riserve auree delle banche centrali per tamponare la crisi dei Paesi periferici dell’Eurozona.
Ai valori attuali, l’Italia – che con riserve per 2.451,8 tonnellate è superata solo da Stati Uniti, Germania e Fmi – possiede un tesoro di oltre 113 miliardi di euro.
A scuotere l’oro dal suo torpore ieri ha probabilmente contribuito anche il platino, che l’aveva preceduto nel raggiungere i massimi da inizio maggio, sull’onda di un rally innescato dalla strage di Marikana, la miniera in Sudafrica in cui uno sciopero è sfociato in violenti disordini e nella morte di 44 persone. Ma era già da qualche giorno che si preparavano le condizioni per una ripresa delle quotazioni del lingotto.
Se la domanda di Cina e India, i due maggiori acquirenti del metallo, continua ad apparire sotto tono, non è così invece per gli investitori occidentali, tornati dopo un lungo periodo di fiacca ad acquistare Etf, a un ritmo tale da riempire i caveaux delle società emittenti a livelli da record storico: 2.437 tonnellate di lingotti.
Sui mercati finanziari, poi, ieri soffiava un vento decisamente favorevole, con il dollaro in ribasso – che di solito agevola l’apprezzamento dell’oro – e un generale clima di ottimismo: circostanza che giova all’oro, ormai da parecchio tempo abituato a muoversi in sincronia con i cosiddetti "risk asset" e non in direzione opposta, come sarebbe più consono a un bene rifugio.
Come è già accaduto diverse volte quest’anno, l’oro si sta comunque risvegliando soprattutto sull’attesa di ulteriori azioni di stimolo da parte delle autorità monetarie. «L’oro è tornato ad aspettare il quantitative easing – sintetizza Andrea Gentilini, Senior Portfolio Manager di Ubp – Non tanto o non solo quello della Federal Reserve, ma più in generale le iniezioni di liquidità che potrebbero arrivare dalla banche centrali e in questo momento soprattutto dalla Bce».
«Il tema – prosegue Gentilini – è sempre quello della reflation, del riaccendersi dell’inflazione, anche se ormai le reazioni dell’oro al ciclo speranza-delusione sugli annunci di quantitative easing si sono attenuate». Le analisi di Ubp mostrano che gli investitori si sono in qualche modo assuefati. La prima volta che l’aspettativa si è risvegliata, a fine gennaio, sulla scorta di dichiarazioni di Ben Bernanke, l’oro si apprezzò dell’8,7% in un mese per poi crollare del 5,8% in soli 5 giorni, una volta chiarito che il QE3 non era imminente. Una situazione analoga in giugno provocò un rialzo del 5,4%, seguito da un ribasso del 3%, e alla fine di luglio l’oscillazione è stata ancora più ridotta: +3% seguito da -2 per cento.
Adesso gli investitori aspettano a brevissimo (per oggi) le minute della Fed e a fine mese il summit di Jackson Hole, che nel 2010 fece da teatro all’annuncio del primo round di QE da parte di Bernanke. L’oro, insomma, può aver fiato per correre ancora per un po’, specie se continueranno anche gli acquisti delle banche centrali: non quelle delle Vecchio continente – tentate se non dal vendere, quanto meno dall’utilizzare i loro lingotti come collaterale per gli Eurobond – ma di quelle dei Paesi emergenti, ansiosi di diversificare le riserve. Sono stati proprio i loro acquisti, sempre più consisetenti negli ultimi due anni, uno dei maggiori propellenti della corsa dell’oro.