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 2012  agosto 04 Sabato calendario

SOTTO IL SEGNO DI AFONSO

Pensiero, colore, forma: sono gli ingredienti con cui Nadir Afonso ha creato una sua personalissima poetica dell’ arte. Architetto, pittore, collezionista: sono le identità attribuite ad Afonso nel sottotitolo della mostra che gli dedica il Museo Bilotti (Aranciera di Villa Borghese, fino al 30 settembre, catalogo Carlo Cambi editore). E bisognerebbe aggiungere filosofo, perché questo singolare intellettuale portoghese, che lo scorso 4 dicembre ha compiuto 91 anni, è soprattutto un pensatore. Con questa breve sintesi del suo concetto di arte ed estetica ha presentato la mostra romana: «La qualità essenziale dell’ opera d’ arte è l’ esattezza. Trovare la legge dell’ esattezza è stato lo sforzo estremo della mia estetica e il vano lavoro della mia vita. Ho capito che non esiste una legge della proporzione che governa tutte le opere d’ arte, ma ciò che il filosofo estetico non ha mai sospettato è che ogni composizione artistica ha la sua legge matematica, aperta alla sensibilità». Aggiunge che per percepire l’ esattezza non serve un ragionamento erudito e neppure una qualche forma di cultura, ma sono necessari molti anni di abitudine alla percezione e una sensibilità emozionale innata. Per capire di che cosa parla Afonso, bisogna fare una prova davanti ai suoi disegni di città, tratteggiati con colori puri e al tempo stesso con infinite variazioni di tono luminoso. Ecco Montréal, evanescente tra l’ azzurro chiarissimo e il giallo oro; Toronto, con i grattacieli duplicati in un gioco di acque specchianti; Siena con l’ anfiteatro della piazza scandito dai toni rossi e aranciati; Firenze come sospesa nei ponti sull’ Arno; la Senna che scorre portandosi via le tessere di colore di una Parigi che resta in bianco e nero sullo sfondo; le visioni urbane di una Finlandia che appare come un’ oasi di frescura avvolta nel verde menta e nel rosa sorbetto. Ogni ritratto è composto di segni verticali tracciati a penna, che danzano come le linee dello spettro sonoro nelle strumentazioni elettroniche e sembrano cadenzare il ritmo delle larghe, sinuose pennellate ad acquarello. Si viene rapiti in questo vortice di forma-colore come in un sogno. Stefano Cecchetto, che ha curato la mostra, sostiene che i lavori di Nadir inducono a immaginare che «forse in qualche parte del tempo e dello spazio esiste un’ immensa e mirabile felicità». Nadir Afonso, figlio di un poeta, capisce a dodici anni che la sua vocazione è la pittura. Finisce per iscriversi ad architettura, ma continua a dipingere. Nel 1946 lascia il Portogallo diretto a Parigi, dove frequenta un corso di pittura all’ Ecole des Beaux-Arts e contemporaneamente lavora nello studio di Le Corbusier, partecipando al famoso progetto di case popolari di Marsiglia. Divide lo studio con Fernand Léger e si impegna nella ricostruzione di molte città che erano state distrutte durante la guerra in Normandia. Nel 1951 parte per il Brasile e collabora con Oscar Niemeyer ai progetti per lo sviluppo di San Paolo. Nel 1954 torna a Parigi dove si dedica sempre di più alla pittura. Frequenta Pablo Picasso e Max Ernst, Giorgio De Chirico e Max Jacob, discute di estetica con Roger Garaudy e Jean-Paul Sartre. Sperimentando l’ arte cinetica arriva a quella che lui chiama «Espacillimité» (spazialità illimitata) che incorpora movimenti meccanici. Approda infine a una pittura in cui il movimento è intrinseco, generato da quei vortici di colore e forma che Afonso continua a produrre ancora oggi.
Lauretta Colonnelli