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 2012  agosto 19 Domenica calendario

L’EUROZONA PRIMO TARGET CINESE

Nonostante la crisi o, anzi, proprio a causa della crisi: l’Europa Occidentale diventerà sempre più chiaramente la destinazione principale per gli investimenti e le acquisizioni degli investitori cinesi, che stanno spostando il loro focus dal settore delle risorse primarie verso altri comparti. E per di più vedono iniziata una stagione di saldi e occasioni da non mancare. A sottolineare il trend sono ormai una miriade di centri studi. Ernst & Young ha appena concluso una inchiesta da cui risulta che circa un terzo delle aziende cinesi crede che l’Europa occidentale rappresenti la migliore opportunità di investimento nei prossimi 3 anni (contro il 22% per il Nord America e il 29% per Medio Oriente/Africa). Il tutto nel contesto di Outbound direct investments (Odi) saliti dai 10 miliardi di dollari del 2005 ai 73 miliardi dell’anno scorso.
Verso nuovi record. L’ultimo rapporto PwC suggerisce che per l’M&A esterno cinese il 2012 sarà un nuovo anno record – dopo che nel primo semestre il valore è triplicato nonostante un calo numerico dei deal – grazie a crescenti opportunità in Europa e Usa. David Brown (Pwc private equity) cita 4 motivazioni: l’accresciuta esperienza e fiducia degli investitori; la maturazione del mercato interno; il maggior supporto delle istituzioni finanziarie domestiche e del private equity; il fatto che «i venditori reagiscono alle difficili condizioni del loro mercato interno». In più, procede la deregulation, con la promozione del ruolo internazionale dello yuan e l’innalzamento del valore dei progetti privati che non necessitano dell’ok governativo. Secondo l’osservatorio Cofm, il flusso degli Odi cinesi nella Ue, dopo il picco del 2008 a 16,1 miliardi di dollari, era crollato nel 2009 a 1,3 miliardi, per poi riprendersi a 2,5 nel 2010 e balzare a 7,9 nel 2011, anno record per numero di operazioni. Per il solo M&A (escludendo i greenfield), la Ue ha contato l’anno scorso per 7,3 miliardi di dollari su un totale di 36,3 miliardi. Anche un recente rapporto del Rhodium Group enfatizza la “corsa all’Europa” di Pechino: gli analisti Thilo Hanemann e Daniel Rosen evidenziano che l’Europa sta sperimentando l’avvio del “balzo strutturale” degli Odi cinesi nelle economie avanzate. C’è stata infatti una loro triplicazione dal 2006 al 2009 e sono di nuovo triplicati nel 2011 a 7,4 miliardi di euro. Una incursione concentrata su Francia, Uk e Germania, anche se hanno fatto più notizia gli investimenti – come quelli nel Pireo o nella rete energetica portoghese – nei Paesi colpiti dalla crisi, o in aziende italiane con forte brand (come Ferretti). In termini di nuovi capitali investiti, entro il 2020 Rhodium stima che l’Europa vedrà da 250 a 500 miliardi di dollari tra M&A e greenfield, se appena resterà simile la quota di un quarto degli investimenti globali manifestatasi negli anni 2000. Non mancano, peraltro, le voci in Cina che invitano a non fidarsi delle sirene della “sottovalutazione” degli asset europei, visto che non si sa ancora quando la crisi toccherà il fondo.
Focus anche sull’Italia. «Il processo di M&A cinese all’estero è appena iniziato, anche da noi», afferma Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano (che alla presenza diretta a Shanghai presso la Tongji University ha affiancato una recente newco a Pechino per favorire trasferimenti tecnologici e formazione manageriale, mentre ha ricevuto varie richieste per istituire “joint campus”). «L’incidenza rispetto al Pil degli investimenti esteri è ancora modesta, intorno al 5% – prosegue Noci – Il XII piano quinquennale sta contribuendo ad incrementare gli investimenti diretti esteri per il fatto che pone come obiettivo prioritario del "sistema Cina" l’innovazione. In questa prospettiva, le imprese cinesi sono assetate di know how e innovazione». Secondo Noci «in generale, non dobbiamo temere investimenti cinesi in Italia: proprio perché interessati al nostro know how, non hanno alcuna convenienza ad operazioni "mordi e fuggi", ovvero acquisizione e chiusura degli insediamenti in Italia con conseguente riapertura in Cina. Anzi, i cinesi possono contribuire a rendere ancora più competitive le nostre aziende». Una contrarietà avrebbe giustificazioni «nel caso di partecipazioni di maggioranza in quei settori che rappresentano il "sistema nervoso" del nostro Paese, come energia, tlc e credito. Anche qui loro proveranno ad acquisire quote significative». L’Italia appare in saldo e «anche per questo è un Paese target prioritario per la Cina specie per lusso, automazione industriale, beni strumentali e tecnologie ambientali».