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 2012  agosto 21 Martedì calendario

LO SCONTO PER L’ITALIA

Tre, quattro o cinque per cento? Quale può essere il tasso giusto da porre come «tetto» al costo del debito di un Paese europeo. Stabilirlo a priori, al di là delle smentite della Bce alle anticipazioni apparse sulla stampa, è impresa decisamente complicata. Un fatto però è certo: contrariamente a quanto si possa pensare, fino a questo momento l’Italia sta pagando per finanziarsi sui mercati tassi inferiori rispetto a quelli del 2011. Da gennaio fino ad oggi – sostiene uno studio di Chiara Cremonesi, strategist sul reddito fisso di UniCredit Research – il tasso medio pagato dal Tesoro italiano considerando tutte le diverse emissioni, scadenza per scadenza, è infatti pari al 3,38% contro il 3,61% dell’intero 2011. Entro fine anno, però, l’Italia dovrà di nuovo presentarsi in asta per completare la provvista (finora, in base alle stime di UniCredit, è stato emesso il 66% dei titoli a media-lunga durata necessari a finanziare l’intero fabbisogno annuo). Se nei prossimi mesi i tassi si confermassero sulla media dell’anno, il 2012 si chiuderebbe con un costo del debito del 3,41%, cioè venti punti base in meno rispetto al 2011. Può sembrare una sorpresa, per buona parte dovuta al fatto che si è ormai portati a ragionare per «spread», ovvero a guardare la differenza di rendimento rispetto ai titoli tedeschi (i cui rendimenti si sono ridotti ancora di più di quelli italiani) e spesso si perde il senso della realtà, cioè del livello dei tassi dei BTp e degli altri titoli del Tesoro: ciò che poi conta davvero ai fini del costo del debito. Esiste però anche una spiegazione tecnica del fenomeno, perché in quest’ultimo anno il Tesoro ha agito sul mix di scadenze, riducendo la durata media delle emissioni che è passata dai 6,99 anni di fine 2011 ai 6,69 dello scorso giugno. In altre parole, l’Italia ha emesso un quantitativo maggiore di BoT (a fine anno, secondo UniCredit, saranno tra i 15 e i 20 miliardi di euro in più), che sono finiti sul mercato a un tasso medio del 2,21%, e ha ridotto i più «cari» BTp (quelli a 3 anni hanno un costo medio del 4,14%, quelli a 5 anni del 5,10%, i decennali del 5,90%). Un’operazione, quella dell’accorciamento delle scadenze, che in teoria potrebbe in futuro creare qualche grattacapo al Tesoro, anche se il quantitativo limitato (20 miliardi, rispetto a un debito quasi 100 volte più grande) non sembra in grado di allarmare e non è minimamente paragonabile, per esempio, al ben più aggressivo spostamento verso le scadenze brevi del «funding mix» operato dalla Spagna nel 2008. Per chi comunque resta alla ricerca del valore ideale del «tetto» ai rendimenti dei titoli di Stato, l’analisi di UniCredit offre una simulazione interessante di ciò che potrebbe accadere al debito italiano in caso di forte rialzo o ribasso dei tassi da qui a fine anno. Se i rendimenti dovessero crescere su tutte le scadenze di un punto percentuale (cioè 100 punti base), il costo del finanziamento del 2012 salirebbe al 3,72%. Viceversa, in caso di riduzione delle tensioni sui titoli di Stato (e di un calo generalizzato dei rendimenti di 100 punti) il prezzo medio del funding scenderebbe al 3,06%. Tradotto in soldoni, significherebbe che lo Stato italiano potrebbe risparmiare circa un miliardo di euro nella spesa a servizio degli interessi rispetto al 2011: denaro da destinare a utilizzi certamente più utili e produttivi che non al pagamento di un debito uscito fuori dai binari nel corso degli ultimi decenni. Lo spaccato europeo del 2012 rivela però anche un’altra verità, per molti versi più amara per l’Italia, dato che nel corso di questi ultimi mesi i tassi di finanziamento si sono ridotti anche per la Spagna, nonostante la tensione che continua ad attanagliare Madrid, ma sono scesi in modo ancora più sensibile per Francia e Germania. I due Paesi «core» d’Europa hanno infatti tratto beneficio dalla fuga dal rischio degli investitori e possono ormai finanziarsi a tassi medi vicini allo zero (rispettivamente dello 0,76% e dello 0,54%): così la forbice fra le due Europe continua ad allargarsi.