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 2012  agosto 20 Lunedì calendario

CUNICOLI, FOGNE E MITI C’È UN’ITALIA SEGRETA SOTTO LE NOSTRE STRADE

Mentre la temperatura dell’aria si arroventava, gli aristocratici palermitani del XVIII secolo si dirigevano nel sottosuolo, con tutte le comodità al seguito, a trascorrere i giorni caldissimi dello scirocco confortati da un sistema di refrigerazione antico quanto il mondo e portato in Sicilia dagli arabi.

Le camere dello scirocco sono cavità sotterranee naturali, poi lavorate dall’uomo fino dal 700, quasi impossibili da scorgere dalla superficie. Panchine di pietra, statue di marmo e scale intagliate nella roccia viva allietavano i soggiorni per la rituale sopravvivenza al caldo micidiale dello scirocco siciliano. Nessuno riesce a ipotizzare quante fossero le camere della piana di Palermo all’origine, però sappiamo che funzionavano in base a una sapienza antica.

A decine di metri di profondità veniva intagliato un canale in cui scorreva l’acqua sorgentizia già artificialmente convogliata in uno straordinario sistema idrologico di origine araba chiamato «qanat». L’acqua fresca di sorgente scorreva attraverso la stanza, evaporando e così sottraendo calore alla grotta stessa che si manteneva fresca. A questo va aggiunto il tiraggio di un pozzo di aerazione, scavato nella volta, che evacuava aria calda e vapore saturo verso l’esterno.

Le camere dello scirocco a Palermo, i rifugi sotterranei di Napoli, le fognature più famose del mondo a Roma, i misteriosi sotterranei della Torino sabauda: c’è un’Italia segreta sotto le nostre case e sotto le nostre strade, un luogo di misteri che è, nello stesso tempo, fondamento fisico delle nostre città e radice culturale della nostra storia.

È una stratificazione fittissima, creata dal lavoro geologico del pianeta Terra e da quello dei nostri antenati impostato sulle conseguenze di vulcani e terremoti. Ciononostante spesso gli uomini immaginano il sottosuolo come un contenitore misterioso di leggende e miti, popolato di simboli e paure, oltre che di cunicoli e fognature.

Nel 1943 i napoletani ascoltavano con terrore l’ennesimo suono della sirena antiaerea mentre si dirigevano, rassegnati, al rifugio sotterraneo più vicino e attendevano la fine dell’allarme. Il sottosuolo di Napoli è una specie di ventre accogliente e sicuro, fatto di antiche ceneri vulcaniche consolidate, che, sebbene cariato da decine di chilometri di cunicoli, reggeva benissimo all’impatto dei bombardamenti. Di più: al di sotto della città odierna e del suo traffico impossibile, si estende un’incredibile città sotterranea, silenziosa e misteriosa ancora in gran parte da svelare.

Quasi il 60% dei napoletani vive su un sistema originariamente interconnesso di gallerie, cunicoli, catacombe, cisterne, pozzi e grotte in gran parte sconosciuto (solo 620 mila metri quadri). Per edificare Neapolis (V-IV secolo avanti Cristo) era più conveniente prelevare i materiali da costruzione direttamente in sito: da qui cave e buche di ogni tipo. In secondo luogo, molte delle gallerie e dei cunicoli avevano la funzione di portare e immagazzinare acqua nelle cisterne.

Inoltre, alcune delle cavità più antiche venivano utilizzate, già al tempo dei greci, per lo stivaggio delle derrate alimentari. Infine, nella città si viveva, ma si moriva anche, dunque molti buchi furono scavati per il culto dei defunti: qui come a Roma il terreno vulcanico tenero favoriva l’inumazione. I napoletani erano soprattutto un popolo di cavatori, altro che pizze e mandolini.

Tutti conoscono le catacombe di Roma, ma non è per quello che la città è diventata «Caput mundi», bensì per le opere idrauliche, fogne comprese, la cui lunghezza è impressionante: forse più di 5000 chilometri, scavati a partire dal 616 avanti Cristo. I Romani mettevano nella costruzione delle fognature qualcosa di maniacale, basti pensare che il tombino più famoso del mondo è il magnifico disco della cosiddetta Bocca della Verità, conservato in Santa Maria in Cosmedin: una ruota di marmo frigio, lavorata in bassorilievo, che raffigura una maschera con la bocca aperta.

«Marcello… Come here… Marcello…», chiama suadente Anita Ekberg rivolgendosi a Marcello Mastroianni, ne «La dolce vita» di Federico Fellini. Come una Venere, l’attrice si bagna nelle acque azzurrine della grande vasca della Fontana di Trevi. Ma dove si approvvigiona la fontana più famosa del mondo? Per capirlo bisogna scendere 25 metri sottoterra attraverso una porticina vicinissima alla chiesa di Trinità dei Monti. Al fondo viene canalizzata un’acqua straordinariamente limpida, quella dell’acquedotto Vergine, uno dei più antichi del mondo, perfettamente funzionante dopo duemila anni di Storia, tanto da alimentare ancora la fontana di Trevi.

A Roma la città sotterranea esiste, è estesa quasi quanto quella di superficie, ed è molto poco conosciuta. Se si fa eccezione per i luoghi del potere, soprattutto ecclesiastico, e per quelli utilizzati dalla malavita, dalle bande del buco degli Anni Cinquanta e Sessanta fino alle coltivazioni segrete di Cannabis recentemente ritrovate nei pressi delle catacombe meridionali.

Già Montesquieu aveva puntigliosamente notato che tutti i luoghi antichi si trovavano a livelli stranamente più bassi, «di almeno 20 piedi», rispetto al resto della città. Roma è il risultato di una sovrapposizione straordinaria di geologia, architettura e storia. Trenta strati archeologici in 12 metri, questo lo stupefacente condensato della Città Eterna, e questo il motivo per cui scavare una metropolitana a Roma comporta problemi più gravi e tempi più lunghi che in qualsiasi altra parte del mondo. Di tutto ciò conosciamo forse solo il 5 per cento.

Il sottosuolo nasconde ancora la straordinaria ricchezza della Roma imperiale: dove sono finite le undici terme e le dieci basiliche? Che ne è stato dei 423 templi, dei teatri e dei circhi? Tutto sepolto al ritmo di uno o due centimetri di suolo all’anno, come a dire venti metri ogni mille anni.

Anche a Torino, quella sotterranea è una specie di città rovesciata che ha inizio sotto piazza Vittorio Veneto, dove si allarga addirittura una spianata di 35 mila metri quadri che un tempo ospitava quei caratteristici carrettini per trasportarelaneveincittàe checustodivauncolossale frigorifero naturale ospitato qualche metro sotto terra. Ma sotto la città si svolse anche la famosa epopea di Pietro Micca, il minatore soldato che si sacrificò per bloccare l’esercito francese esplodendo nel sottosuolo il 29 agosto del 1706.

«Passepartutt» (così era soprannominato) era un uomo di coraggio e, soprattutto, si muoveva bene nel sottosuolo. Prima di morire allontanò il suo commilitone, che non riusciva ad innescare la miccia, dicendogli: «Lascia fare a me, ché tu sei più lungo di un giorno senza pane». L’Italia segreta è anche questa.