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 2012  agosto 20 Lunedì calendario

Oblomov? È vivo e ozia assieme a noi (attaccato al web) - Ah, Oblomov signore del­l’ozio e della stasi, maestro svogliato d’indolenza

Oblomov? È vivo e ozia assieme a noi (attaccato al web) - Ah, Oblomov signore del­l’ozio e della stasi, maestro svogliato d’indolenza.A che vale spostarsi, sposarsi, spossarsi. Meglio ripararsi dal vivere, come ci si ripara dalla pioggia e dal sole; e schivare le sue chiamate, stendersi nel proprio trono, il letto, e regnare pi­gramente sui due mondi, la veglia e il so­gno. Se Faust è lo spirito attivo dell’Occi­dente e della modernità, se per lui «In principio è l’azione», Oblomov incar­na lo spirito passivo dell’Oriente e il principio d’inerzia. Due mesi fa cadde il bicentenario della nascita di Ivan A. Goncarov, ma agosto è il mese ideale per parlarne; l’ultimo che può lamen­tarsi del ritardo è proprio lui, l’autore di Oblomov , che impiegò più di dieci anni per scrivere il capolavoro ed eresse con pigra lentezza il proprio monumento alla pigrizia. La sua creatura gli somi­gliava fisicamente, aveva la sua stessa pinguedine, il volto apatico e gli stessi occhi sonnolenti. Ma Goncarov è assai meno conosciuto del suo personaggio, divenuto proverbiale.In Oblomov e nel­l’oblomovismo di solito si compendia il ritratto della Russia al tempo degli zar, lo spirito indolente e fatalista di una società rurale e feudale. Che verrà prima scossa dal nichilismo anarchico e poi spazzata via dal comunismo, con l’irruento risveglio alla modernità e al­la rivoluzione ( salvo poi riprodurre nel­lo statalismo la passività indolente). Se il comunismo è socialismo più elettrici­tà, come disse Lenin, la società che alle­vava gli Oblomov era invece servitù del­la gleba più candele, per l’illuminazio­ne e la devozione. La cera squaglia e la processione non cammina, dice un pro­verbio russo e meridionale... Ma chi leg­ge Oblomov solo nel suo tempo e nel suo luogo si ferma alla buccia e si perde la polpa. Certo, la buccia dice che un signore nullafacente come Oblomov è possibile solo in una società di servi della gleba; solo lì può accadere che un uo­mo sin da bambino non si sia mai infilato le calze da solo; che altri abbiano fatto tutto per lui. È vero, ma Oblomov non appartie­ne solo alla sua terra e alla sua epoca. Già Kropotkin aveva intui­to che Oblomov è un tipo universale. Voi dite inerzia russa, ma vi dice niente la flemma britannica e il moscio aplomb che culmina nella lenta ceri­monia del thè? O la lunga e inoperosa siesta che divora i pomeriggi tra la Spa­gna e il Messico? Vi dice nulla la contro­ra da noi a sud, la pennica romana, gli ozi di Capua ma anche i tanti elogi della lentezza, con relativa pratica, dalla Pro­venza alla Vienna indolente, cioè fino al cuore della Mitteleuropa?Sì,l’Orien­te della contemplazione e la Grecia del­l’ aponia e dell’ atarassia racchiudono come matrioske questa Russia asiatica e svogliata; ma Oblomov non somiglia solo all’Eugenio Onegin di Puškin, al Rudin di Turgenev o alle Anime morte di Gogol; somiglia anche a Marcel Proust, abitante assiduo del proprio let­to, barricato nei suoi deliziosi arresti do­miciliari, al Mondo di ieri di Stefan Zweig, perfino al britannico Oscar Wilde e a Lord Brum­mel. Non a caso, Gonca­rov definisce più volte Oblomov«sibarita»,allu­dendo all’antica Sibari calabrese. In realtà, Oblo­mov è la traduzione russa di una visione universale fon­data sul primato della stasi, sulla convinzione che vivere sia solo una per­dita di tempo. Vivere è preservarsi, cori­carsi e perpetuarsi; esporsi il meno pos­sibile ai raggi della vita e dell’azione. Giorgio Manganelli trovava nell’oblo­movismo perfino una matrice religio­sa. Ne ho conosciuti tanti nel nostro sud di Oblomov. Gente che ho sempre visto a mezzo busto perché seduta perenne­mente al caffè, in coma neurovegetati­vo e sguardo all’infinito; o signorine mai discese dai balconi e dalle finestre da cui spiavano la vita sentendosene immuni. Ci sono parole intraducibili per indicare l’oblomovismo nostrano: susta, sconfidenza. L’Oblomov tipico del mio paese si chiamava Ciccio, nulla­facente storico e dormiente, voce cata­tonica e sguardo indolente, come l’omonimo Ciccio di Nonna Papera, l’Oblomov disneyano. Pure in famiglia ho tracce di Oblo­mov. Mio nonno nacque lo stesso anno di Oblomov , nel 1859, di professione possidente, signorotto, il biglietto da vi­sita lo qualificava Galantuomo e nel portone il leone rampante del casato era l’unico ruggito in tanta quiete. Mia Zia Carolina era Oblomov in versione magra e femminile. Un corredo inton­so nella cassa­panca, solo i faz­zoletti di lino usati per il raf­freddore, il suo terrazzo anima­to solo dai pic­cioni; mai spo­sata né fidanza­ta, mai svolto un lavoro o as­sunto un com­pito; dramma cosmico per lei era il contatore dell’acqua in eccedenza. Le ragazze per be­ne non vanno a scuola, stanno a casa. Alle co­se pesanti ci pensano gli al­tri. Inerzia sen­za accidia, anzi scusarsi di esi­stere col prossi­mo, meglio pas­sare inosserva­ti, meglio non fare che fare. Vi­vere per sottra­zione, trattene­re il respiro per non farsi sor­prendereinpie­na vita. «Non avrebbe potu­to regge­re né al­le ansie della fe­licità né ai colpi della vita», dice Oblomov- zia Carolina. Gode­re oggi vuol dire patire domani, allora meglio di no; gioie e dolori dolgono en­trambi. La vita come una lunga e genti­le eutanasia. Ore intere a scrutare il Niende , Nirvana pugliese. Anche quan­do ebbe la televisione zia Carolina con­tinuò a scrutare il nulla nello schermo, la vedeva accesa o spenta,con program­mi o nell’intervallo. Oblomov un seco­lo dopo. Morì dove nacque. «Qui siamo nati, qui abbiamo vissuto e qui dobbia­mo morire». E anche lei morì come Oblomov, «senza dolore, come si fer­ma un orologio che qualcuno ha di­menticato di caricare». C’è qualcosa di eroico nella viltà di non vivere.O nell’ot­tusità di credere che il meglio della vita sia restare al letto. A dormire, natural­mente. Ma un dubbio s’insinua: che Oblo­mov­e mia zia Carolina non appartenga­no solo al passato di una società arcaica e rurale. Una nuova specie di Oblomov cresce tra le pieghe del web.Oggi l’oblo­movismo si chiama depressione, ore al computer scaricando film, sesso virtua­le, musica e uscite dal mondo, voglia di sottrarsi alla competizione, agorafobia e fotofobia. L’Oblomov informatico non beve kvass e non vive in vestaglia persiana, ma fuma, beve e veste nel suo stesso spirito. Vite di scarto, direbbe Bauman, darwinismo capovolto, la de­sistenza del meno adatto, il letto come rifugio all’incapacità di vivere. Marx si sbagliò: eliminando i servi della gleba, Oblomov non è morto ma vive e ozia ac­canto a noi. L’animo umano non dipen­de dai rapporti di produzione.