Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 19/8/2012, 19 agosto 2012
GLI SCANDALI, LE BANCHE E UN SISTEMA MALATO
La Deutsche Bank è indagata dalla giustizia americana per riciclaggio di fondi provenienti dall’Iran e dal Sudan. Lo stesso reato viene ipotizzato per tre altri istituti, ancora innominati. È dal 2009 che si scoprono delitti analoghi nelle filiali americane delle grandi banche europee. Le olandesi Abn Amro e Ing, le inglesi Lloyds e Barclays e la svizzera Credit Suisse sono accusate di aver giocato per Iran, Cuba e Corea del Nord.
Nei giorni scorsi, la Standard Chartered è stata multata per 340 milioni di dollari dal regolatore di New York. La filiale americana di questa banca della City avrebbe ripulito 250 miliardi di dollari provenienti dai Paesi legati al terrorismo e alla droga nell’ultimo decennio. Benjamin M. Lawsky, il regolatore dello Stato che ospita Wall Street, ha irritato i magistrati, perché ha deciso senza sentirli. I procuratori, eletti dalla cittadinanza, sono sensibili alle priorità della politica, tra cui spicca il contrasto del terrorismo e della droga. E però a Lawsky i procuratori sembravano troppo accomodanti con le grandi banche. Regolatori e inquirenti, finora, non si sono passati le informazioni. Cominceranno adesso?
Il riciclaggio non è l’unico delitto di cui sono accusate le banche internazionali. Gli inquirenti britannici hanno scoperto i maneggi sul Libor, il tasso di riferimento per i prestiti sulla piazza di Londra, fatti da gran parte delle 18 banche censite per la bisogna dall’Associazione bancaria britannica. Ora anche gli Stati americani di New York e del Connecticut indagano sullo stesso reato JPMorgan e Citi oltre a Barclays (cui non basterà aver patteggiato una multa di 455 milioni di dollari a Londra), Royal Bank of Scotland, Hsbc, la svizzera Ubs e Deutsche Bank.
The Economist ha coniato un neologismo per qualificare i delinquenti in bombetta: banksters. Se pensiamo anche ai buchi sui derivati nel desk londinese della JPMorgan (2 miliardi di dollari saliti rapidamente a 9) e ai «pacchi» piazzati sulle spalle della clientela sprovveduta (vedi la condanna di 4 banche estere controparti del Comune di Milano, le solite), se ricordiamo la resistenza opposta dalle banche svizzere ai controlli sugli evasori americani richiesti dal fisco Usa, banksters appare una ridefinizione appropriata. Ma è anche una definizione riduttiva.
I banksters rappresentano la degenerazione di un sistema sano o sono i figli legittimi di un sistema malato? È più vicino al vero, temo, il secondo corno del dilemma. Tanto più se ai delitti associamo i comportamenti legali e tuttavia disastrosi innescati sempre dalle stesse banche, con l’erogazione senza limiti del credito nella convinzione di poter annullare il fisiologico rischio di insolvenza addossandolo a un indefinibile mercato globale. È stata questa la droga che ha rovinato l’Occidente negli ultimi vent’anni. Legalità e illegalità si sono mescolate nel falò della regolamentazione e nella truffa ideologica per cui la finanza avrebbe inventato i mutui subprime per dare casa ai senzatetto e far crescere il prodotto interno lordo degli Usa, sublime democrazia, e non per ingrassare i bonus dei banchieri, e se va male paga Pantalone.
Da cinque anni la storia sta impartendo una lezione. Ma l’Occidente fatica ad accettare l’evidenza che una JPMorgan, e cioè la migliore delle banche universali di Wall Street, altro non è che un gigantesco hedge fund fondato sui depositi garantiti dal Tesoro. Il contrasto del crimine in bombetta, che tanto impressiona l’opinione pubblica, si è svolto finora ex post, a opera degli inquirenti. Ma ormai appare così esteso e ripetuto da far ritenere che la repressione non basti. Ci vuole anche la prevenzione, l’azione ex ante che modifica il contesto e rende sempre meno possibile e conveniente il crimine in bombetta. Ma su questo fronte gli Usa e il Regno Unito, pur tanto spettacolari nel perseguire i reati, frenano ogni riforma che affronti alla radice il problema.
Frantumare i grandi gruppi bancari così da renderli davvero soggetti alla vigilanza e lontani dal rischio sistemico. Aumentare il rischio in capo all’emittente sui derivati così da evitarne l’abuso. Riallineare la libertà di circolazione dei capitali ai livelli di cooperazione politica democratica internazionale. Dividere il credito finanziario da quello commerciale così da proteggere solo il risparmio dedicato all’economia reale e non quello rivolto alla speculazione. Le ricette non mancano. Manca la volontà politica.
L’Italia non è uscita bene da Tangentopoli perché l’ha ridotta a problema giudiziario. Gli Usa e il Regno Unito — e noi con loro — non usciranno dagli scandali di Wall Street e della City se li declasseranno a questione di polizia. Ma per il mondo anglosassone, che si è illuso di poter smobilitare l’industria, le grandi banche sono diventate le corazzate con cui affrontare la competizione globale. Per questo i banchieri, incuranti del bene comune, sono in grado di dominare i politici delle culle della democrazia.