Ilaria Maria Sala, La Stampa 19/8/2012, 19 agosto 2012
LA CINA CONQUISTA L’AFRICA CON LE TV DAGLI OCCHI ASIATICI
La sigla è nota agli spettatori di Cctv che guardino dalla Cina o da qualunque altra parte del mondo: un globo bianco che gira, dei tasselli rossi che s’innalzano, finché in rapida successione tutte le terre emerse diventano rosse, con la Cina in mezzo, e la scritta Cctv News compare al centro dello schermo con una musica trionfale di sottofondo. Questa però è Cctv Africa Live, lanciata da una settimana, a coronare un sogno cinese vecchio di qualche anno. Sul sito web, una pletora di africani e cinesi tutti sorridenti, come nella migliore tradizione propagandistica.
«Le televisioni sono l’ultimo tassello della strategia cinese verso l’Africa», spiega Irene Panozzo, docente di Scienze Internazionali Diplomatiche a Gorizia: «Prima, sono arrivati gli Istituti di Confucio, poi Xinhua (l’agenzia di stampa cinese che concede gratuitamente i suoi dispacci). Adesso arrivano le televisioni».
Il centro della nuova avventura mediatica cinese africana è Nairobi, «perché è l’hub regionale del Corno d’Africa, ed ha una scena giornalistica piuttosto viva e libera, con alcuni gruppi importanti che hanno giornali, corrispondenti e stazioni televisive anche nei Paesi vicini», prosegue Panozzo. Oltre a Cctv, c’è anche la nuova rete per l’Africa della stessa Xinhua, Cnc World, che trasmette in inglese e cinese, e ha in programma canali in francese, portoghese, giapponese, spagnolo, russo e arabo.
L’espansione dei gruppi cinesi all’estero non riguarda solo l’Africa: la Cctv, o China Central Television, il colosso della televisione cinese, ha ricevuto negli ultimi anni 7 miliardi di dollari Usa per rivaleggiare con la Cnn e la Bbc e «fare in modo che all’estero la Cina sia capita e conosciuta», dice Cao Ri, direttore del Servizio Internazionale della CCTV, aggiungendo che si tratta di «fornire una visione del mondo con occhi asiatici». I presentatori assunti da Cctv sono africani, occidentali, e cinesi, e l’enfasi è su un servizio agile, dove le uniche immagini calcificate sono quelle che riportano scene della vita politica cinese. Gli «occhi asiatici» in questione, però, sono molto selezionati: la dissidenza, gli intellettuali critici, i parenti delle degli vittime abusi governativi non saranno mai presenti sugli schermi governativi.
«Il regime cinese è molto contrariato dal fatto che il messaggio sulla Cina arrivi per mano dei media occidentali», spiega Juan Pablo Cardenal, autore di «La silenziosa conquista della Cina»: «In Kenya molte delle notizie che riguardano la Cina già da alcuni anni sono soprattutto di Xinhua, in Zambia, invece, dove ci sono stati grossi problemi con gli investitori cinesi nel settore minerario, la stampa è molto più critica. E’ una strategia che va oltre al semplice desiderio di conquistare i cuori africani: si tratta di diffondere notizie che difendano gli interessi cinesi nel continente africano». Al Jazeera ha fatto da apri-pista, e la Cina vuole un’Al Jazeera con caratteristiche cinesi.
Dove la stampa è libera la voce della propaganda cinese diffusa tramite Cctv, Xinhua, il Quotidiano del Popolo e il China Daily (il principale quotidiano cinese in lingua inglese) si aggiunge a un coro rumoroso. Dove è già controllata, applica uno strato aggiuntivo di censura, all’interno di un packaging di prim’ordine. Così, eventi importanti come la visita in Africa del Segretario di Stato americano Hillary Clinton è stata analizzata per più di un’ora su Africa Live, dove la dichiarazione di voler promuovere la democrazia e ai diritti umani di Clinton è stata vivisezionata, determinando che era diretta contro la Cina e «del tutto sbagliata», secondo uno dei commentatori. Il format è moderno, con talk shows, connessioni live con esperti di tutti i tipi, e grande dispiegamento di alta tecnologia. Ma, per esempio, nel corso delle manifestazioni in Medio Oriente legate alla Primavera araba, ecco che in nessun momento la televisione cinese ha menzionato la parola «democrazia».
La situazione aveva portato a un punto quando alcuni manifestanti in Libia decisero di portare alle manifestazioni dei cartelli scritti in cinese, spiegando perché erano contro la dittatura di Gheddafi. Va ricordato, però, che nei media cinesi, tutti controllati dal governo in modo più o meno diretto, la parola «propaganda» non ha alcun connotato negativo.