Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 18 Sabato calendario

CASCHETTO E SORRISO BEFFARDO NADIA, LA BELLA «SITUAZIONISTA» NUOVA ICONA DEL DISSENSO

MOSCA — Con la sua maglietta blu, il pugno chiuso giallo e la scritta «No pasarán», Nadezhda Tolokonnikova, la più giovane del gruppo, è diventata il volto delle Pussy Riot. Ieri, assieme alle compagne Masha e Katia, è rimasta per tre ore chiusa nella minuscola gabbia di vetro, con le manette sempre ai polsi. Capelli a caschetto, una faccia spesso triste che diventava sorridente e beffarda quando il giudice se ne usciva con qualche frase fatta sui «balli demoniaci» o sulle offese arrecate ai credenti. Nadezhda che ha solo 22 anni rappresenta un concentrato di quello che è stato ed è questo Paese. È nata a Norilsk, la città nel Grande Nord delle miniere e del Gulag staliniano. È nata il 7 novembre, il giorno della rivoluzione bolscevica. È nata nel 1989, l’anno in cui è caduto il muro di Berlino e il regime comunista ha iniziato a sgretolarsi. È vissuta in una Russia che sembrava avviarsi verso una democrazia di tipo europeo; è cresciuta in un Paese destinato a inserirsi a pieno titolo nel gruppo delle Grandi nazioni del mondo. Lei era una brava studentessa, maturità a Norilsk con ottimi voti e quindi l’iscrizione all’università più prestigiosa, l’Mgu di Mosca, facoltà di Filosofia.
Poi? «Poi è arrivato Putin», dice adesso Nadezhda, Nadia come la chiamano gli amici. Il primo mandato, il secondo mandato, la presidenza di Dmitrij Medvedev e quindi la staffetta, Medvedev a fare il primo ministro e Putin di nuovo al Cremlino. Per Nadia è cambiato tutto e l’impegno politico ha preso il sopravvento su ogni altra cosa. Ideali che traspaiono anche nella lettera scritta dal carcere qualche giorno fa: «Non sono arrabbiata perché sono in prigione. La mia è una rabbia politica, non personale». Al college ha conosciuto il pittore Pyotr Verzilov che ben presto è diventato suo marito. È entrata nel gruppo «situazionista» dei Vojna (guerra) dediti a interventi estemporanei di protesta clamorosa. Nel 2008, mentre era già all’ottavo mese di gravidanza, Nadia prese parte a un happening che lasciò parecchi di stucco. Quattro ragazzi e quattro ragazze che si accoppiavano pubblicamente all’interno del museo di biologia. Titolo: «Copula per l’erede orsacchiotto» (Medvedev, che in russo può voler dire orsacchiotto, stava per essere eletto).
Poi, sempre con il gruppo Vojna, ancora due esibizioni clamorose. La prima nel 2010 si svolse all’interno del tribunale Taganskij, a Mosca. Una critica al sistema giudiziario e alla corruzione fra i giudici: centinaia di scarafaggi neri disseminati per le stanze e i corridoi.
Poco dopo il gruppo si sposta a San Pietroburgo, per l’evento che ha suscitato maggiore eco internazionale. I Vojna hanno disegnato un enorme fallo, lungo decine di metri, sul ponte Litejnyj, davanti alla sede cittadina dell’Fsb, erede di quel Kgb dal quale viene Putin. Il Litejnyj è un ponte che si apre in due e si alza quando passano le navi e così il grande fallo è apparso come in erezione di fronte al primo vascello. «Fin da piccola mi è sempre piaciuto trovarmi in situazioni estreme», ha spiegato Nadia. Così ben presto una parte delle donne che facevano parte del Vojna si è staccata per dedicarsi a esibizioni che accentuassero maggiormente il sostegno al femminismo. Prima uscita, quando erano ancora nel Vojna, è stata la protesta contro le nuove leggi di pubblica sicurezza. È partita la campagna «bacia lo sbirro», con le ragazze che tentavano di baciare sulla bocca tutti i poliziotti femmina che incontravano. È stata la nascita delle Pussy Riot, cantanti punk, provocatrici, estremiste. Esibizioni sui tetti degli autobus, nelle stazioni della metropolitana, sulla Piazza Rossa. Lì, cantando e urlando a squarciagola come è ormai loro abitudine, lanciarono lo slogan «Putin se l’è fatta sotto dalla paura».
Infine l’irruzione nella chiesa di Cristo Salvatore, il principale tempio dell’ortodossia russa. Ballavano, saltavano e alzavano le gambe le Pussy Riot. Chiedevano alla Madonna: «Liberaci da Putin». «Una performance come tante altre», ha ricordato dal carcere Nadia. «Non avremmo mai immaginato che le autorità sarebbero state così stupide da perseguire punk femministe anti-Putin, legittimandole agli occhi del mondo». Nadezhda era già sicura della condanna. «Ma non è così facile liberarsi di noi. Vedremo chi vincerà alla fine».