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 2012  agosto 18 Sabato calendario

L’ITALIA? È DIVERSA DALLA SPAGNA MA DOVRA’ CHIEDERE UN INTERVENTO

Come in ogni Paese dell’area euro oggi in crisi, o destinato a unirsi presto alla mischia - la Francia è un candidato di prima fila - l’austerità di bilancio avrebbe dovuto rassicurare i mercati. Ha avuto invece l’effetto opposto. I mercati hanno concluso da un pezzo che i debiti non scenderanno fino a che non ritorna la crescita economica. Più i governi stringono la cinghia, più è probabile che cadano nell’equilibrio negativo. Le riforme strutturali varate dal governo Monti possono produrre una limitata spinta, ma serviranno anni perché ciò si realizzi. Nel frattempo, il debito crescerà.
La recessione sta poi creando un’altra vulnerabilità. Inesorabilmente, deteriora la capacità di ripagare di chi in passato ha contratto dei prestiti. Il volume di prestiti in sofferenza è destinato a salire progressivamente. Presto o tardi banche che finora erano sane avranno bisogno di una ricapitalizzazione pubblica, quindi il debito pubblico farà un balzo all’insù. Coloro che detengono questo debito hanno tutte le ragioni di essere preoccupati. È in questo modo che l’Italia sta perdendo l’accesso al mercato.
È vero, l’Italia non è povera. I suoi cittadini e le sue imprese detengono una ricchezza considerevole. Questa non potrebbe essere prelevata nell’emergenza tramite un’imposta patrimoniale? In realtà abbiamo imparato dalle crisi latino-americane che, in un momento di crisi, i detentori di ricchezza sono molto solleciti nello spostare i loro patrimoni lontano dalle mani del fisco. Anche lo Stato italiano è ricco: detiene aziende redditizie e beni immobili preziosi. Sappiamo però che una vendita nel pieno di una crisi diventa una svendita economicamente controproducente (ne ha scritto Krugman nel 1998). Benché noi europei non siamo latino-americani, qualunque cosa ciò significhi, i principi dell’economia non conoscono confini geografici o culturali.
L’inevitabile e spaventoso
Alla fine del percorso la conclusione è inequivocabile, semplicemente perché il dispiegarsi di questi processi è ormai ben noto. Malgrado tutto il suo ammirevole patrimonio umano ed economico, l’Italia si è spostata su un equilibrio negativo al quale è estremamente improbabile che riesca a sfuggire.
È vero, lo sdegno è perfettamente giustificato quando uno spreco di proporzioni enormi sta per avverarsi. E a pochi mesi dalle elezioni politiche il momento è particolarmente frustrante. La tentazione di rimuovere e aspettare ancora un pò è irresistibile. Ma aspettare non fa che far crescere il costo economico, sociale e politico della risoluzione della crisi quando quel momento inevitabilmente arriverà.
La parabola della nave
Le nostre menti migliori non devono cadere in questa trappola. Invece, dovremmo tutti concentrarci su come evitare di ripetere ancora una volta gli errori di un passato lontano e recente. La troika dovrebbe immaginare condizioni radicalmente diverse e la Banca centrale europea dovrebbe accelerare nella sua determinazione, annunciata di recente, di fare «qualunque cosa serva», agendo di fatto da prestatore di ultima istanza ai governi e alle banche.
In caso contrario la crisi non finirà. La Francia non è ancora lì, ma non è così lontana. E quando anche la Francia entrerà in crisi? Amici miei tedeschi mi spiace, ma l’albero maestro affonda con tutta la nave.