Anais Ginori, la Repubblica 19/8/2012, 19 agosto 2012
STOCCOLMA
La macchina da scrivere, le foto di figli e nipoti, i blocchi per gli appunti, la vista sugli alberi di Vasapark. Non aveva bisogno d’altro Astrid Lindgren, chiusa dentro al suo studio, per immaginare un’eroina rivoluzionaria al comando della propria vita senza dover essere una principessa, sposarsi, imparare le buone maniere. In Dalagatan 46 tutto è rimasto come dieci anni fa, quando la più famosa autrice svedese, 145 milioni di libri venduti nel mondo, tradotta in sessanta lingue anche se non ha mai vinto il Nobel, se n’è andata con un sorriso, partendo per l’ennesima avventura. È in questa casa di cinque stanze che Lindgren è morta all’età di novantaquattro anni. «Vorrei la pace sulla Terra e qualche bel vestito», aveva risposto a chi le chiedeva cosa desiderasse per il compleanno. Fino alla cattedrale di Gamla Stan, l’8 marzo 2002, festa della donna, sfilarono il governo, la famiglia reale riunita e centomila persone. Il corteo funebre di una Regina dei cuori cresciuta in una fattoria dello Småland, tra i laghi e i boschi di betulla. Una semplice segretaria dattilografa che ha incontrato il successo per caso, ormai quarantenne.
«Raccontami una storia». Era il 1943, Karin aveva sette anni ed era al letto con la febbre. Le venne in mente un nome. Pippi Långstrump. «Anzi, mamma, raccontami di Pippi Calzelunghe». È così che Lindgren cominciò a narrare, ogni sera, le gesta di una bambina talmente forte da sollevare un cavallo, sconfiggere Maciste, vivere da sola con un mucchio di monete d’oro e una scimmietta per amico, ignorando l’obbligo della scuola, gli ordini dei poliziotti, l’autorità in generale. «Ho trovato solo il nome, il resto è venuto tutto dalla sua fantasia», ricorda oggi Karin, che si occupa dell’omonima fondazione
dedicata alla madre. Un patrimonio immenso. Oltre quaranta libri, molti racconti e storie brevi, ma anche testi teatrali, canzoni, decine di film e serie televisive, quasi tutte con il regista Olle Hellbom. Fu lui a scegliere nel 1969 l’attrice Karin Inger Nilsson, che ha incarnato Pippi, rendendola famosa nel mondo intero. Lindgren andava spesso sul set, nell’isola di Gotland, dov’è stata girata tutta la serie e fino all’ultimo minuto prima delle riprese, parlava con Hellbom per sistemare i dialoghi.
A Stoccolma, in Dalagatan 46 c’è ancora la cameretta di Karin e lo studio dove è stato finito il primo manoscritto di
Pippi Calzelunghe,
pubblicato nel 1945 dall’editore Rabén & Sjögren, dove Lindgren andò poi a lavorare curando tutta la collana per l’infanzia. Aveva cominciato da ragazza in un giornale di Vimmerby, la regione natale dove adesso si può visitare la vecchia casa di famiglia e un museo dedicato ai suoi personaggi, come quello che esiste a Stoccolma, sull’isola di Junibacken. Non avrebbe mai lasciato la campagna di Vimmerby se non fosse rimasta incinta a vent’anni di un uomo sposato e molto più anziano di lei. Uno scandalo per l’epoca. Lindgren fu costretta a partire per Copenhagen, dove lasciò il piccolo Lars in una casa-famiglia. Dopo tre anni, sposò Sture Lindgren, rappresentante dell’Automobile Club di Stoccolma. Nacque Karin e finalmente anche Lars tornò a vivere con la madre. Pippi che rifiuta di andare alla Casa degli Orfani è un riferimento a quella vicenda personale? «È probabile — glissa la figlia — che quell’esperienza abbia influenzato i suoi libri».
Appuntava pensieri e frasi a mano, la sera, su un blocco. Riprendeva molti dettagli intorno a sé. Pippi era fisicamente simile a un’amichetta di Karin. L’albero della limonata è una storia che si raccontava a proposito di un vecchio olmo della fattoria di Vimmerby, dove si giocava a «camminare senza toccare mai il pavimento», come fanno Tommy
e Annika a Villa Villacolle. I riferimenti alla sua casa natale, dov’era cresciuta libera nella natura con i fratelli, si ritrovano in altre opere, e in particolare in
Emil,
uno dei suoi libri preferiti. «Giocavamo come se non ci fosse domani»,
ripeteva spesso Lindgren. «Pippi le assomiglia molto», ammette Karin. «Era una donna anticonvenzionale e molto determinata». Una protofemminista anche se, precisa la figlia, Lindgren non ha mai aderito ad alcun gruppo o asso-
ciazione di donne. Pippi Calzelunghe ha una carica sovversiva rimasta intatta. «È incredibile, no? Dopo così tanto tempo», osserva ancora la figlia. «Non credo che mia madre avesse fatto un calcolo preciso, era semplicemente il suo modo di vedere il mondo». Lindgren ha affrontato anche temi difficili, ad esempio il lutto o il suicidio in libri come
Mio piccolo Mio, I Fratelli Cuordileone.
Davanti alle critiche, ribatteva spesso: «I bambini sanno da soli cosa censurare quando leggono». E a chi l’accusava di non dare il buon esempio, di essere una cattiva educatrice, rispondeva: «Diamo amore, molto amore e ancora amore. Il buon senso verrà da solo».
Lindgren utilizzò la sua fama mondiale per alcune battaglie politiche. È riuscita a far cadere un governo narrando una favola,
Pomperipossa in Monismania,
nella quale denunciava un’aliquota pari al 102 per cento del reddito. Era il 1977, il premier socialdemocratico
fu costretto a dimettersi. Una legge per la protezione degli animali porta il nome Lex Lindgren, ma forse la sua vittoria più famosa è quella per bandire le punizioni corporali sui bambini. Lindgren iniziò la sua campagna contro le sculacciate in Germania, nel 1978. Invitata a ritirare un prestigioso premio, scatenò polemiche internazionali con un discorso che associava la violenza sui piccoli a quella della guerra. Un anno dopo la Svezia era il primo paese al mondo a varare una legge su questo tema, e ancora oggi la normativa è citata come esempio da seguire.
No Violence!
il testo inedito di quel discorso è stato pubblicato dalla fondazione Astrid Lindgren in occasione del decimo anniversario della morte della scrittrice (ne riportiamo un passaggio in queste pagine). Chi è forte dev’essere anche buono, dice Pippi Calzelunghe. E, spesso, la forza non è
dove si pensa che sia.
Parlare della pace è parlare di qualcosa che non esiste. La pace genuina è introvabile in questo mondo e probabilmente non è mai esistita, se non come un obiettivo che non siamo mai stati capaci di raggiungere. Tutti vogliamo la pace. Ma come possiamo fare e da dove dovremmo cominciare? Credo che dovremmo cominciare dal basso, dai bambini. Voglio parlare dei bambini. Delle preoccupazioni che ho rispetto a loro, e delle mie speranze per loro. I bambini di oggi, un giorno, manderanno avanti il mondo, se ne sarà rimasto qualcosa. Saranno loro a decidere rispetto alla guerra e alla pace e sul tipo di società che vorranno – se vorranno una società in cui la violenza continua a crescere, o se preferiranno una società in cui la gente viva in pace e fratellanza. C’è qualche speranza che saranno capaci di creare un mondo più pacifico di quello che ci siamo dati? E perché abbiamo fallito così miserevolmente, nonostante tutta la buona volontà che c’è? L’intelligenza e le facoltà intellettuali sono congenite, ma i bambini non nascono con un seme che germoglia automaticamente e si trasforma in bene o in male. Ciò che decide se un bambino diventerà una persona aperta, fiduciosa, affettuosa, con una propensione a dei sentimenti comunitari o un lupo solitario spietato e distruttivo dipende da coloro che lo mettono al mondo e gli insegnano il significato dell’amore – o da chi non è capace di mostrargli che cosa comporti l’amore.
«Überall lernt man nur von dem, den man liebt»
, disse Goethe, e quindi deve essere vero. Si impara solo dalle persone che si amano. Un bambino circondato dall’amore e che ama i suoi genitori impara da loro un atteggiamento di amore verso tutto ciò che lo circonda, e mantiene questo atteggiamento per tutta la vita.
Quanti bambini hanno ricevuto le loro prime lezioni di violenza
«von denen die man liebt»
, da quelli che amano, dai loro stessi genitori? E poi hanno trasmesso le lezioni imparate di generazione in generazione? «Chi risparmia la verga, rovina suo figlio», ci ammoniva l’Antico Testamento. Molte madri e padri hanno seguito questo insegnamento da allora. Hanno spesso brandito il bastone e lo hanno chiamato amore. Ci sono davvero tanti “bambini rovinati” in questo nostro mondo di oggi: quanti dittatori, tiranni, oppressori, torturatori... Che razza di infanzia hanno avuto? È una cosa che meriterebbe davvero di essere studiata. Io credo che dietro alla maggior parte di loro ci sia un padre tirannico o qualche altra figura responsabile della loro educazione, che ha brandito una verga o una frusta.
Traduzione Luis E. Moriones Tratto da
Never Violence!
© Saltkrakan AB/ 1978
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