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 2012  agosto 19 Domenica calendario

ALBERTO FLORES D’ARCAIS

NEW YORK
— L’ultimo contatto avvenne alle 7 e 42 del 2 luglio 1937, indirizzato alla nave Itasca: «Dovremmo essere sopra di voi, non riusciamo a vedervi, il carburante si sta esaurendo. Stiamo volando a mille piedi di altezza». Da quel momento di Amelia Earhart, del navigatore Fred Noonan e del loro Lockeed Electra 10E non si seppe più nulla. La più grande pilota della storia - prima donna a trasvolare l’Atlantico in solitaria era scomparsa nei mari del Pacifico mentre volava verso l’isola di Howland, un piatto isolotto di due chilometri e tre metri di altezza. Una vita da star, fatta di voli straordinari, avventure mondane, qualche segreto (fu sospettata di spiare i giapponesi per conto di Roosevelt) e una morte che per 75 anni è stata avvolta nel mistero, mentre la sua leggenda cresceva cantata da poeti, narrata da scrittori, illustrata dal cinema.
Adesso uno dei gialli che più ha appassionato l’America sembra essere risolto. Il team di ricercatori del Tighar (gruppo internazionale per il recupero di veicoli storici), che da 25 anni è alla caccia di Amelia e del suo aereo, si è accorto — osservando i dettagli di un video subacqueo girato a luglio — che la telecamera ha inquadrato i frammenti di quelli che potrebbero essere i resti dell’Electra. Si trovano nei pressi dell’isola di Nukumaroro, proprio nella zona in cui avvenne l’ultimo contatto radio tra Amelia e la Itasca. In questo piccolo atollo disabitato, in mezzo al Pacifico (2900 chilometri dalle Hawaii) già nel 2007 gli ingegneri del Tighar avevano trovato alcuni pezzetti di metallo che potevano appartenere all’aereo, e nel 2010 si erano appassionati per il ritrovamento di frammenti di ossa (l’analisi del Dna non ha chiarito se umane o di grandi tartarughe) e di alcuni oggetti che sarebbero appartenuti ad Amelia (una cerniera lampo, il tacco di una scarpa, oggetti per il trucco). Nessuna prova decisiva, tale da smontare le tante leggende che negli anni si erano diffuse. Come
quella che Amelia, volando sul Pacifico per spiare i giapponesi per conto della Casa Bianca, fosse stata catturata e giustiziata. O addirittura che dopo una lunga prigionia fosse tornata in America sotto le mentite spoglie di una certa Irene Bolam. Leggende che nella cultura popolare hanno avuto grande successo, cui si sono ispirati artisti e registi, cui ha dato credito (in un documentario del 2008) anche il
National Geographic.
La sua vita era del resto stata leggendaria. La passione per il volo nasce quando Amelia, a 23 anni, accompagna il padre a un raduno aeronautico a Long Beach e al costo di un dollaro sale per la prima volta su un biplano. Nel ‘28
diventa la prima donna a trasvolare l’Atlantico (ma non pilotava), tre anni dopo batte il record mondiale di altezza (5613 metri), infine nel 1932 la fama mondiale: prima donna e seconda in assoluto (dopo Lindbergh) a trasvolare l’oceano partendo da Terranova e atterrando nell’Irlanda del Nord. A seguire altri record: il volo senza
scalo da una costa all’altra degli Stati Uniti e quello sul Pacifico (Oakland-Honolulu). All’epoca era una delle più grandi celebrità d’America. Paladina femminista del National Woman’s Party, amica di Eleanor Roosevelt (con tanto di voci su possibili coinvolgimenti
amorosi), frequentatrice del jet-set di Hollywood, Lady Lindi - come veniva chiamata dai giornali in omaggio alla Lindbergh donna - divenne l’immagine di campagne pubblicitarie. Amica di presidenti (Hoover oltre a Roosevelt), diversi amanti, un marito col quale visse un matrimonio decisamente “liberal”. Sullo schermo l’hanno riportata in vita Hilary Swank e Diane Keaton, Spielberg l’ha ricordata in
Incontri ravvicinati del terzo tipo,
è stata protagonista di un famoso episodio di Star Trek. Joni Mitchell le ha dedicato una canzone, Patti Smith una poesia, i giornali di gossip centinaia di pagine. Ora il mistero sembra concluso.

STEFANO MALATESTA
CI SONO state molte donne pilota di aerei, soprattutto negli anni ‘20 e ‘30, che messe tutte insieme hanno costituito un singolare lotto. Una di loro Mabel Boll, un’attrice flamboiante, era conosciuta come la regina dei diamanti per lo sfarzo con cui si abbigliava. Un’altra, Amy Phipps, sposata con un ministro inglese, aveva intrapreso voli temerari prima di ritirarsi, allarmata da tre aerei pilotati da donne, tra cui una principessa, che si erano schiantati sul suolo europeo. Amelia Earhart è stata la migliore di tutte, quella che ha rischiato di più e per prima. Ma la sua popolarità, durata ininterrottamente dal ‘37 a oggi, non ha a che fare solo con la bravura. La fama grandissima, innalzata fino al livello del mito, è dovuta a un carattere straordinario che nei viaggi in solitario lungo percorsi pericolosi anticipava un mondo americano guidato dalle donne, molto più affidabili ed eleganti degli uomini non solo nel pilotare un aereo, ma in molte altre faccende. Come ha detto una scrittrice americana: «Amelia ci ha spinto a non avere paura del cielo vuoto, di terre sconosciute e a prendere i rischi necessari per compiere azioni pericolose».
La sua figura venne abbracciata subito dalle prime femministe che avevano molto apprezzato i tour pubblicitari organizzati da un certo Putnam, un professionista nel lanciare promettenti personaggi. In questi giri che andavano dall’est all’ovest dell’America, lei innalzava lo slogan che diceva
think different,
cercando di convincere non solo le sofisticate studentesse del Vassar College, ma anche donne comuni, che dovevano liberarsi dal tran tran familiare per fare qualcosa di imprevedibile e, magari, rischioso e che, finalmente, iniettasse nelle vene qualche goccia di adrenalina. Prima del matrimonio scrisse una lettera al futuro marito dicendo che si sentiva a suo agio solo in una carlinga di aereo. Mentre la casa coniugale le ricordava una trappola per topi. Aveva una figura delicata che veniva definita tipicamente femminile, ma in realtà fin da bambina aveva evitato di definire con accuratezza il suo sesso e appariva sempre come un ragazzo adolescente che avesse fatto crescere i suoi capelli e che portava pantaloni larghi e fluttuanti. Ma quando pilotava l’aereo indossava calzoni da polo, stivali piatti e allacciati fino al ginocchio, una cravatta e un giubbotto di pelle con risvolti impellicciati. E così vestita è apparsa accanto ad Abramo Lincoln e a Martin Luther King in una mostra al National Portrait di Washington, organizzata per
onorare i più grandi miti americani.