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 2012  agosto 19 Domenica calendario

ROMA —

Nella messe di dati che descrivono un’Italia in declino si salvano quelli sul commercio estero. Gli ultimi diffusi dall’Istat dicono che a giugno il saldo tra esportazioni e importazioni è stato positivo per 2 miliardi e mezzo di euro, somma del miliardo di avanzo nel commercio con i Paesi dell’Unione europea più il miliardo e mezzo di quello extra Ue. Nei primi sei mesi dell’anno le vendite all’estero sono aumentate del 4,2% rispetto allo stesso periodo del 2011 mentre le importazioni sono scese del 5,8% e il saldo è stato prossimo al pareggio: - 85 milioni contro un passivo di ben 19,8 miliardi nel primo semestre del 2011. Al netto dei prodotti energetici poi (le importazioni di petrolio e gas) l’avanzo sarebbe stato di 32,6 miliardi.
Al buon andamento della bilancia commerciale ha contribuito la recessione, che ha frenato la domanda dall’estero ma anche la capacità di tantissime aziende di essere competitive, grazie pure al deprezzamento dell’euro sul dollaro, che tra l’altro spiega il boom delle esportazioni extra Ue: + 9,9% rispetto allo stesso periodo del 2011 mentre quelle verso l’Unione sono rimaste stabili.
Nonostante la crisi, l’industria manifatturiera italiana resta la seconda in Europa dopo quella tedesca. E in questi ultimi anni ha difeso abbastanza bene la sua quota sull’export mondiale, rimanendo all’ottavo posto nella classifica dei Paesi più esportatori, secondo il Rapporto sull’Italia nell’economia internazionale, appena pubblicato dal ministero dello Sviluppo. È vero che nel 2001 la nostra quota sul totale mondiale era del 3,9% e che, dieci anni dopo, nel 2011, era scesa al 2,9%. Ma nel frattempo è cambiato il mondo. La Cina è passata dal 4,3% al 10,4%, dal sesto al primo posto in classifica. Gli Stati Uniti dall’11,8% all’8,1%, dal primo al secondo posto. La Germania dal 9,2% all’8,1%, dal secondo al terzo posto. La Francia dal 5,2% al 3,3%, dal quarto al sesto posto. Manteniamo quote di assoluto rispetto nelle calzature e pelli (11,5%); nei mobili (8,6%); nel vetro, ceramica e materiali per l’edilizia (6,6%); nei macchinari e apparecchi meccanici (6,5%); nell’abbigliamento (5,6%). Siamo debolissimi nei computer e apparecchi elettronici (0,9%) e ormai anche negli autoveicoli (2,7%).
Per il 2012 le prospettive sono buone mentre la Germania accusa una frenata dell’export che dovrebbe chiudere l’anno con un aumento «solo» del 4%. Carte vincenti del made in Italy sono i distretti industriali, i contratti di rete per aggregare piccole aziende, la creatività. Tanti i casi di successo. Dalle fabbriche alimentari della provincia di Piacenza che nel primo semestre di quest’anno hanno aumentato l’export del 23%, alla cosiddetta Etna Valley, che con le sue aziende farmaceutiche ed elettroniche ha visto un balzo delle esportazioni nel primo trimestre del 44%. Dalle aziende bergamasche di macchine e apparecchi meccanici (+ 10% nel primo trimestre) alla provincia di Taranto che ha segnato un più 34% di export nei primi tre mesi del 2012 anche grazie a quel gigante che è l’Ilva, ora a rischio chiusura per inquinamento.
Enrico Marro