Notizie tratte da: Silvia Evangelisti # Storia delle monache # il Mulino Bologna 2012 # pp. 282, 26 euro., 18 agosto 2012
LIBRO IN GOCCE NUMERO 43
(Silvia Evangelisti, «Storia delle monache») –
Preghiere «In quel periodo per volere di Dio morì mia madre, che era per me un grande impedimento, e dopo, in breve tempo, cessarono di vivere mio marito e tutti i miei figli. Poiché avevo pregato Dio che morissero, ne ebbi una grande consolazione e pensai che, dopo quei doni divini, il mio cuore sarebbe stato sempre in quello di Dio e il suo nel mio» (la mistica Angela da Foligno, 1248-1309).
Caterina Caterina da Siena (1347-1380) giunse a sfigurarsi il corpo buttandosi nelle acque bollenti delle terme.
Soldi Collocare una figlia in convento incideva molto meno del matrimonio sulle risorse finanziarie della famiglia. Tra il Quattro e il Cinquecento in molte città italiane il valore delle doti conventuali era compreso tra un terzo e un decimo di quello delle doti matrimoniali. Fattore che contribuì ad aumentare drasticamente il numero delle donne che prendevano i voti monastici.
Rango Altra spiegazione dell’aumento del numero delle professioni: la riluttanza della nobiltà a dare le proprie figlie in spose a uomini di rango inferiore (tendenza spagnola).
Sozze «Non danno per ispose a Giesù le più belle e virtuose, ma le più sozze e difformi, e se nelle lor famiglie si ritrovano zoppe, gobbe, sciancate o sciempie, quasi ch’il diffetto di natura sia diffetto d’esse, vengono condennate a starsi prigione tutto il tempo della lor vita» (Arcangela Tarabotti, disabile, monaca veneziana, 1604-1652).
Giornata Una giornata in convento: sveglia la mattina presto, orazioni nel coro, lavoro (disbrigo di questioni amministrative e finanziarie e organizzazione della comunità), pausa per il pranzo servito nel refettorio comune, breve riposo, di nuovo lavoro, cena, breve riposo, preghiere prima di coricarsi. Le monache erano tenute al silenzio durante la giornata. I pasti dovevano essere consumati collettivamente, ascoltando la lettura di testi edificanti fatta da una monaca.
Abito L’abito copriva il corpo dalla testa ai piedi, doveva essere di colore neutro e ricavato da stoffa non particolarmente lavorata. I capelli dovevano essere corti per poterli pettinare senza inutili perdite di tempo. Proibiti gli specchi, le decorazioni alle pareti, altri oggetti di lusso come tappezzerie e cuscini sontuosi. Anche se non era sempre così. Nel 1577 a Napoli, nella cella della nobildonna Giulia Caracciolo vengono trovati mobili in ebano e avorio, busti in marmo bianco e nero, un tappeto persiano, una chitarra.
Coriste Pur mangiando allo stesso tavolo e indossando lo stesso abito, le monache non godevano tutte di uguali opportunità. Le monache coriste (o velate) provenivano solitamente da famiglie nobili, pagavano la dote piena, potevano diventare badessa, vicaria, sacrestana, procuratrice, tesoriera. Le monache converse (o servigiali) erano quasi sempre di umili origini, pulivano, facevano il bucato e il pane, cucinavano, si occupavano dei lavori più pesanti (dai quali erano ovviamente escluse le coriste). Non potevano quasi mai imparare a leggere e a scrivere.
Converse Le monache converse dovevano essere «non maggiori di quarant’anni, ne minori di vinti, sane di corpo, et di natura facile all’obedienza» (dalla «Prattica del governo spirituale e temporale dei monasteri e delle monache» del 1604, conservata nell’Archivio segreto vaticano).
Vagando La regola di san Benedetto: «Il monastero poi, se è possibile, dev’essere organizzato in modo che tutte le cose necessarie, cioè l’acqua, il molino, l’orto e le officine delle diverse arti si trovino dentro l’ambito del monastero, perché i monaci non abbiano alcuna necessità di andar vagando fuori: ciò che non giova assolutamente alle anime loro».
Muri Dopo il Concilio, grandi opere di ristrutturazione nei conventi. La clausura richiedeva un isolamento sia fisico sia visivo: le monache non dovevano poter vedere lo spazio esterno né essere viste da estranei. Per soddisfare tali requisiti le autorità ecclesiastiche davano ordine di costruire e rialzare muri interni ed esterni. Le spese sostenute per queste ristrutturazioni erano spesso accollate alle monache e alle loro famiglie.
Portineria La portineria dell’abbazia cistercense di Coyroux fino alla metà del Seicento: due entrate poste l’una di fronte all’altra, collegate una con l’esterno dell’edificio, l’altra con l’interno. La chiave dell’entrata interna era custodita dalla badessa, quella dell’ingresso esterno era affidata ai monaci. Per rifornire la comunità del necessario, un monaco lasciava le provvigioni tra le due porte e bussava alla porta interna con un bastone appena prima di uscire dalla porta esterna, che poi chiudeva a chiave da fuori mentre la monaca ritirava la merce.
Notizie tratte da: Silvia Evangelisti, «Storia delle monache», Il Mulino, € 26.