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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

TE LA DO IO CAPRI: SNOB, DIVIETI E CORONA

Allontanato dagli Stati Uniti, nella primavera del 1947 sbarca a Capri Lucky Luciano, diamante al dito e catena d’oro sul petto. Sessantacinque anni dopo, l’iconografia dei cattivi ragazzi è cambiata: Fabrizio Corona scende dal motoscafo (a noleggio) e indossa un paio di bermuda strappati, sul torace i soliti tatuaggi. Si presenta di sabato, nell’isola del weekend, dove quasi tutto comincia venerdì e finisce domenica. È qui per promuovere il marchio della farfallina, brevettato ancor prima della passerella sanremese di Belen. All’Anema e core nemmeno l’hanno fatto entrare, e la famosa taverna non è proprio un posto chic. Non bastasse, la polizia gli ha contestato pure l’obbligo di dimora, disposto dal Tribunale di Milano che gl’impone di rincasare alle 21: la fortuna gira e le “risse sfiorate” sono sempre un buon modo per farsi pubblicità. Corona ha sbagliato tempo e luogo: Capri è un marchio che non si fa divorare da nessun altro. Le case di moda pagano cifre folli per avere una vetrina su via Camerelle, solo per scrivere sulle shop il nome dello scoglio più famoso del mondo. E poco importa quanto rende il negozio, qui bisogna esserci. L’isola che Bertold Brecht definì “una maledetta limonata blu” ospita le griffe perché è essa stessa una griffe: un famoso modello di Ford si chiamava Capri e sono ancora in circolazione le Millecento Capri, quelle scoperchiate e con i sedili di paglia. I pantaloni sotto il ginocchio che amava Jackie si chiamano Capri in tutto il mondo. Perfino un tipo di sigarette oppure un’insalata. Tutto è in vendita e a caro prezzo perché, dicono gli isolani, l’esclusività disegna la differenza e il risultato è la scrematura sociale. Ma è l’estate della crisi anche nel paradiso del lusso, piccola Ginevra del Sud senza carte per terra e con una raccolta differenziata davvero svizzera (si smaltisce a parte perfino l’olio della frittura). Allora bisogna ingegnarsi: una boutique ha inventato la versione glamour dell’uomo sandwich.
Olive e nostalgia
All’aperitivo una giovane signora rigorosamente in lino cammina per le strade e arriva in piazzetta, in bella mostra la busta del negozio. Poi torna indietro e si cambia: altro giro, altri sorrisi, altre illusioni di ricchezza e bellezza. Nella piazzetta più snob d’Italia (così snob che dai tavolini non si vede il mare, ed è difficile perché l’isola è grande dieci chilometri in tutto) il dopo Corona ha scatenato un annoiato dibattito sul bon ton dei bei tempi andati. Ci si chiede dov’è finita l’eleganza: tutto accade mentre un cameriere spiega a una ragazza vistosamente incinta che se vuole ancora due olive deve ordinare “un’altra consumazione” (per la modica cifra di una dozzina di euro). Cafonal è l’opposto dello “stile Capri”: una mostra alla libreria la Conchiglia s’intitola proprio così. Il manifesto immortala Brigitte Bardot nel 1963, a piedi nudi in via Vittorio Emanuele. È l’anno in cui l’attrice gira con Godart Il disprezzo nella Casa come me, costruita da Libera per Curzio Malaparte alla fine degli Anni Trenta. L’autore di Kaputt (terminato a Capri) per realizzare il sogno di una casa da sogno a strapiombo sul mare, ricucì perfino i rapporti con il regime fascista (era amico di Ciano) salvo poi lasciare la villa al Partito comunista cinese che poi dovette cederla agli eredi alla fine una lunga battaglia giudiziaria. L’epilogo traccia il destino di Capri: la casa oggi è il set di spot pubblicitari vista Faraglioni, ieri del film con la divina BB tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia (altro habitué dello scoglio incantato, protagonista insieme a Enrico Prampolini di una rassegna, Tracce dell’Isola, alla Casa Rossa di Anacapri). Nelle foto in bianco e nero che cercano di ricostruire i frammenti dello stile smarrito ci sono anche Liz Taylor e Soraya, Sophia Loren, gli Onassis, Kirk Douglas, Greta Garbo. Nel ‘52 lo scrittore Norman Duglas (in calce a Footnote on Capri) annota: “Capri rischia di trasformarsi in una seconda Hollywood. L’isola è troppo piccola per sopportare tutte queste aggressioni senza perdere dignità, il flagello dei cosiddetti musicisti che ti assordano al ristorante, le strade intasate di camion e automobili, i vaporetti e le barche a motore che vomitano turisti”.
Mi si vede, non mi si vede
Siamo ancora qui, salvo che le celebrità sono un po’ meno eleganti così come il de-mi-monde che accorre indossando gli abiti del pubblico. Quest’anno si sono fatti vedere oltre a Luca Cordero di Montezemolo con annessa condanna per l’abuso edilizio nella bellissima dimora sotto piazza Caprile (peserà non poco se davvero si candiderà nel 2013), Fiona Swaroski, Sabrina Ferilli e Carlo Cattaneo, Lucia Annunziata, Sebastian Vettel con fidanzata, Alessandro Preziosi, Steven Spielberg e Rihanna. E gli altri sono spettatori paganti, perché il popolo di Capri è diviso in due: chi si fa guardare e chi guarda, in un rito sempre uguale a se stesso. Pochi arrivano qui per il cielo capace di un indaco stupefacente, di rossi infuocati e viola sfumati al tramonto. O per la dolcezza di certe passeggiate controra, per l’odore dei gelsomini, per la memoria coltivata di un’isola selvaggia che ha ospitato un impero ai tempi del crudele Tiberio.
Tasse e yacht
Il ferragosto del lusso è un po’ sottotono, al porto turistico pochi yatch fanno capolino. Saranno le tasse o il timore dei controlli di Monti? Il sessanta metri di Diego Della Valle è stato qui in luglio, ora ha preso il largo verso i mari della Grecia. Ma la sua casa, Torre Materita (ultima dimora di Axel Munthe, autore della Storia di San Michele, per alcuni anni il libro più venduto al mondo dopo la Bibbia e il Corano), ha ospitato in questi giorni Carlo Rossella, che nemmeno si è fatto vedere in piazzetta: “Non ci vado da due anni”. E aggiunge perentorio: “Troppa gente a Capri, io metterei una tassa di sbarco. Dieci euro per chi vuole venire”. E dire che già per raggiungere l’isola dei divieti (non si può camminare con gli zoccoli nel centro, né a torso nudo o in costume, vietate le radioline, vietati i pic-nic e i barbecue perfino nelle dimore private: una specie di legislazione straordinaria) si spende non poco: l’aliscafo, per dirne una, costa 20 euro sola andata. Così “l’esclusività” diventa esclusione: eppure la mucillagine, democraticamente, ha osato arrivare fin qui.