Nicola Lombardozzi, il Venerdì, 17/8/2012, 17 agosto 2012
IL GENIO RUSSO DELLA MATEMATICA ERA QUASI UN BARBONE ADESSO VA A HOLLYWOOD COL REGISTA DI TITANIC
SAN PIETROBURGO. Come ve lo immaginate un genio della matematica? Grigorij Pereinian è fatto proprio così: barba e capelli lunghi e incolti, occhi sgranati che guardano altrove, abbigliamento casuale e trasandato. Anche il carattere corrisponde perfettamente allo schema classico: ombroso, solitario, capace di cose impensabili per tutti gli altri umani. Lui ne ha fatte almeno due. Prima ha risolto un problema matematico che nemmeno Albert Einstein pensava si potesse risolvere; poi ha posto a tutti noi un enigma ancora più grande: come si fa a rifiutare un premio da un milione di dollari quando si vive con un piccola pensione in una casa popolare di periferia?
E ai suoi concittadini che da anni si chiedono come si possa buttare via una simile fortuna, adesso riserva un’altra sorpresa. Loro che lo chiamano «l’orso», che non riescono a incontrarlo nemmeno appostandosi davanti al suo condominio, che lo inseguono inutilmente a caccia di un autografo o di una semplice stretta di mano, potranno presto ammirarlo attore protagonista in La formula dell’Universo, film hollywoodiano sulla sua vita prodotto nientemeno che da James Cameron. Ma Grigorij Perelman è fatto così. Ti spiazza, si ribella a ogni etichetta, fa sempre la scelta che non ti aspetti.
Storia folle ma non troppo, quella di Grigorij Perelman, nato 46 anni fa nella stessa kritscjovka di nove piani dove abito tutt’ora. Una di quelle case costruite in fretta, con materiali a poco prezzo, negli anni ’60 nel grigio quartiere di Kupcino.
Famiglia ebrea. Padre ingegnere elettronico, madre insegnante di matematica. Tutti e due un po’ fissati con calcoli e equazioni ma, in fondo, una normale famiglia dal reddito decoroso e dalle abitudini convenzionali: l’iscrizione al partito, anni di risparmi per comprare una Zhiguli, festa grande per l’arrivo della prima tv in bianco e nero. L’eccezionalità arriva da Grigorij, scoperto già alle elementari da un regime abilissimo nel reclutare talenti. Lo iscrivono d’autorità alla prestigiosa Scuola Pubblica N° 239, fondata per i ragazzi particolarmente intelligenti. E stupisce per l’aria, quasi infastidita, con cui risolve problemi riservati solo a pochi scienziati. A sedici anni vince le Olimpiadi di della Matematica di Budapest e finisce su tutti i giornali dell’Urss. In famiglia sono pazzi di gioia, lui comincia a comportarsi da genio: parla pochissimo, frequenta nessuno, passa le giornate a meditare su incognite e topologie algebriche. Il poco tempo che gli resta Io dedica ad ascoltare musica classica e ad abbuffarsi di kefir, variante russa dello yogurt che rimane la sua unica passione conosciuta.
Quando crolla l’Urss e tutto il mondo che la circonda, Perelman quasi non se ne accorge. Approfitta dell’apertura delle frontiere per frequentare gli scienziati americani, lavora per il Mit di Boston, ma solo per incontrare un suo mito, il professor Richard Hamilton della Columbia University che da tempo lavora a problemi impossibili. Già i nomi sono un rebus: «congettura di geometrizzazione di Thurston» e «congettura di Poincaré». Per spiegarle bisognerebbe capire di cosa si tratti e non è facile. Diciamo che sono due teoremi «intuiti» all’inizio del Novecento dai due grandi matematici Thurston e Poincaré che però non ne hanno mai individuato la dimostrazione scientifica. Insomma, è come se Pitagora avesse trovato la formula per calcolare l’ipotenusa del triangolo rettangolo ma senza sapere esattamente il perché. Hamilton e Perelman cercano insieme il bandolo della matassa. Poi all’improvviso il russo se ne torna a San Pietroburgo a lavorare per l’Istituto statale Stekiov e nel 2002 fa il colpaccio. Pubblica la dimostrazione delle congetture. Lo fa nel suo stile «sintetico e formalmente perfetto» che rende il tutto molto difficile da comprendere. Scienziati di tutto il mondo ci mettono quasi tre anni per spiegare in più di mille pagine quello che Perelman ha racchiuso in poche formule.
È il trionfo. Non è popolare come una medaglia olimpica e nemmeno come un premio Nobel, ma la cerchia ristretta di geni della Matematica sa che Perelman ha raggiunto un traguardo storico. E, particolare non da poco, ha diritto al premio da un milione di dollari messo in palio dal Clay Mathematics Institute di Cambridge, Massachusset. Comincia un’altra storia che, oggettivamente, si merita un film. Il professore Hamilton si sente tradito, e anche un po’ umiliato, e rompe brutalmente i rapporti con il suo allievo russo. E compaiono anche i «cattivi»: un gruppo di matematici cinesi che si trasforma in una piccola centrale di spie per rubare, tra appunti, pubblicazioni on line, e rare dichiarazioni pubbliche, il segreto di Perelman. Goffi e sfortunati come tutti i «cattivi», i cinesi non ce la fanno. Il premio è di Perelman che, però, lo rifiuta. E fa di più. Si mette in pensione e si rinchiude in casa. Da solo, con la madre anziana e malandata.
Perché? Mistero. Qualcuno gli attribuisce una frase a effetto, tipo: «II denaro in Russia porta solo violenza». Altri dicono che abbia sibilato: «La Matematica non si vende». In realtà pare che il genio folle di San Pietroburgo si sia limitato a dire «no», senza perdersi in altre spiegazioni.
E a questo punto la storia diventa quasi comica. Gli abitanti di San Pietroburgo non saranno tutti assi della matematica ma due conti li sanno fare. Parenti, anche molto lontani, vicini, colleghi, lo implorano di accettare. Se non per sé stesso, almeno per scopi benefici. Ognuno suggerisce un’organizzazione da aiutare, bambini da salvare, fondi di ricerca bisognosi. Un assedio. Prima spontaneo, poi addirittura organizzato a tavolino. Perché il premio fa gola anche ai politici. L’allora governatrice della città, Valentina Matvienko, ha un budget poverissimo che le crea problemi perfino per spalare la neve dalle strade. Il 13 per cento di tasse che Perelman dovrebbe versare se incassasse il milione, è un’occasione da non perdere. Parte «l’operazione Perelman» che il film di Cameron forse romanzerà un poco, ma che è in gran parte reale.
Prima si punta sui bisogni reali. Una decina di motociclisti vengono assoldati per andare ogni sera, per mesi, sotto casa del matematico, puntare i fari alla finestra e urlare: Potrai avere una casa decente, potrai curare tua madre, potrai vivere tranquillo e felice. Stesso metodo con il negozio di alimentari di fronte alla kniscjouka. Perelman esce solo per rifornirsi lì di kefir e verdure. Al titolare viene imposto di moltipllcare per cinque i prezzi quando arriva il prestigioso cliente. Ma non basta.
Il piano B punta al buon cuore. Storpi, ortanelli, mutilati di guerra vengono reclutati per piazzarsi sulla sua strada e chiedergli l’elemosina. I muri dell’androne vengono tappezzati da manifestini con foto strazianti di povertà e malattie, in bella vista i nomi delle organizzazioni da foraggiare. Alla fine il Comune si arrende quando scopre che «l’operazione Perelman» è già costata centomila dollari senza smuovere di una virgola la volontà del genio.
Solo da qualche mese a questa parte, a premio ormai revocato, Perelman riprende a farsi vedere in pubblico. Compare al concerto della sua amata soprano Elena Obraztsova, passeggia con la madre per la prospettiva Nevskij. Veste pure in maniera più ricercata. Giacca rossa, naturalmente, ma di buona fattura e qualità. Qualcuno mormora: «Si sarà pentito? Ha preso soldi da qualche altra parte?».
L’enigma viene, forse, risolto da un suo amico di infanzia, Aleksandr Zabrovskij che ha fatto fortuna in Israele come produttore cinematografico: «L’ho convinto a lavorare con me e con Cameron. Ha accettato con entusiasmo, ma non per soldi». E per cosa? Zabrovskij sorride compiaciuto: «Ricordatevi che Grigorij non è come tutti noi. Va preso a suo modo. Se volete fargli fare una cosa, dovete chie- dergliene un’altra». Ecco il prossimo grande problema da risolvere. Chiamate- la pure la «congettura di Zabrovskij».