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 2012  agosto 14 Martedì calendario

A PROCESSO IL MAGGIORDOMO DEL PAPA

Paolo Gabriele, l’aiutante di camera del Papa arrestato il 23 maggio con l’accusa di aver sottratto documenti dall’appartamento di Benedetto XVI (e dal 21 luglio agli arresti domiciliari) è stato rinviato a giudizio per furto aggravato. La decisione è stata comunicata ieri dal giudice istruttore vaticano Pietro Bonnet, che ha rinviato a giudizio per favoreggiamento anche un analista programmatore della segreteria vaticana, Claudio Sciarpelletti, di cui fino a ieri non era emersa notizia, se non delle indiscrezioni circa un non meglio precisato “informatico”. La sentenza di rinvio a giudizio rappresenta una «chiusura parziale» dell’istruttoria su Vatileaks, precisa Bonnet: nella sentenza e nella requisitoria del promotore di giustizia Nicola Piccardi compaiono altri personaggi che potrebbero essere inquisiti in seguito, ma i due magistrati li indicano con semplici sigle.
Tra il materiale sequestrato a Paolo Gabriele i gendarmi hanno rinvenuto anche «un assegno del 26 marzo 2012 intestato a Sua Santità Benedetto XVI relativo a una somma di 100mila euro, di una pepita presunta d’oro e una edizione della traduzione dell’Eneide di Annibal Caro del 1581». Inoltre «nella perquisizione eseguita a carico di Gabriele, era stata rinvenuta una gran massa di documenti di proprietà e di stretto interesse della Santa Sede e dello Stato, taluni dei quali, già ad un primo esame, risultavano pubblicati nel libro di Gianluigi Nuzzi».
E successivamente, riferisce Picardi, sono stati ritrovati altri 37 documenti anche nell’abitazione di Gabriele a Castelgandolfo. Ma c’è di più. Il padre spirituale di Gabriele (di cui non è noto il nome ma solo la sigla P.) ha bruciato i documenti riservati che gli erano stati consegnati dal maggiordomo del Papa dopo averli sottratti al Pontefice. Ma verso di lui non ci sarebbero capi di imputazione.
Dalla sentenza emerge poi la ricostruzione della drammatica riunione tenuta nell’appartamento papale il 21 maggio scorso in cui fu affrontato il tema dei documenti pubblicati sul libro «Sua Santità» di Gianluigi Nuzzi, giornalista con cui Gabriele ha avuto molti contatti. «Avete trovato il capro espiatorio»: Gabriele si rivolse così al segretario personale del Papa, monsignor Georg Gänswein quando questi gli comunicò la sospensione “ad cautelam” decisa nei suoi confronti. L’episodio è raccontato dallo stesso padre Georg. Scrive il giudice: il lunedì successivo all’uscita del libro di Nuzzi, ci fu in Vaticano «una riunione ristretta della famiglia Pontificia alla quale partecipavano Gänswein, Alfred Xuereb, Birgit Wansing, le quattro suore Memores e l’imputato Gabriele. In questa riunione ciascuno dei presenti dava una risposta negativa alla domanda se fosse stato lui o lei a consegnare i documenti al giornalista Gianluigi Nuzzi».
Sempre in quella riunione, scrive ancora il giudice, «Gänswein ebbe ad indicare all’imputato alcuni documenti non ancora usciti dall’ufficio, tra i quali vi erano due lettere che l’imputato stesso aveva certamente avuto tra le mani, poiché era stato incaricato di preparare la risposta». E quando padre Georg gli fece notare «davanti a tutti» che «questo pur non dando la prova creava un forte sospetto nei suoi confronti», Gabriele – secondo quanto ha raccontato il segretario del papa – rispose con una «una negazione decisa ed assoluta del fatto». Due giorni dopo, quando Gabriele fu arrestato, padre Georg venne avvertito della sospensione nei suoi confronti.
Per entrambi gli imputati vi sarà un unico processo penale con un Tribunale costituito da tre giudici. La data non è ancora fissata ma in ogni caso se ne parlerà non prima della fine del prossimo mese, in quanto fino al 20 settembre il Tribunale è chiuso. La pena prevista per il reato per cui è imputato il maggiordomo del Papa va da un minimo di 1 a un massimo di 6 anni, salvo l’intervento di grazia da parte di Benedetto XVI, se rispondesse alla richiesta presentata dallo stesso Gabriele con una lettera-domanda affidata alla Commissione cardinalizia voluta dal Papa. Atto ritenuto ad oggi probabile, visti i potenziali effetti di un processo pubblico. E in ogni caso, ricorda padre Lombardi, «i due imputati sono entrambi incensurati e quindi con la possibilità anche del perdono giudiziale» per quanto riguarda la pena da scontare. Non potrà invece esserci patteggiamento. Molto meno, «da nulla a poco» secondo quanto riferito da padre Lombardi, rischia invece l’impiegato informatico della Segreteria di Stato vaticana.
Sia Paolo Gabriele che Claudio Sciarpelletti, il primo agli arresti domiciliari il secondo il libertà provvisoria, restano in sospensione cautelare ma con il pagamento dello stipendio. Paolo Gabriele non sapeva di avere in casa un assegno intestato al Papa per un valore di 100mila euro e quindi «non ha neanche mai lontanamente pensato di incassarlo». Lo precisa Carlo Fusco, legale dell’ex maggiordomo: «Si trattava di un assegno non trasferibile intestato al Santo Padre che per sbaglio, nella confusione dei documenti, è andato a finire tra le altre carte, tanto è vero che Gabriele stesso si era chiesto insieme con i colleghi dove fosse l’assegno».