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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

LA TRATTATIVA STATO-MAFIA

Ancora una volta in Italia dei magistrati vanno a testa bassa contro altri magistrati. Lo stadio per eccellenza
di questa contesa è la Procura di Palermo, la città capoluogo delle guerre di mafia che in Italia sono costate negli ultimi trent’anni diecimila morti, ossia due volte e mezza.
i soldati americani uccisi durante la seconda guerra dell’Iraq. Era già accaduto ai tempi di Giuseppe Falcone e Paolo Borsellino. Riaccade oggi che alcuni magistrati d’accusa della Procura di Palermo, da Roberto Scarpinato a Francesco Messineo, vengono messi sotto schiaffo dai loro superiori gerarchici perché accusati di avere violato la deontologia professionale. E succede che uno dei procuratori antimafia più noti d’Italia, la punta di diamante dei processi che avevano a bersaglia la «Casta», ossia Antonio Ingroia, se ne vada a svernare in Guatemala nel momento in cui le sue indagini avevano innestato la quarta nell’andare a frugare il tempo e i protagonisti della presunta “trattativa” tra Stato e mafia nel 1992 e dintorni.
E in questo gran casino ci va di mezzo anche la figura morale e istituzionale del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale chiede a voce alta che vengano tolte di mezzo intercettazioni che lo sfiorano e che non hanno alcun rilievo né penale né altro, e mentre nel suo solito linguaggio rozzo e volgare Antonio di Pietro lo accusa di star «brigando» per impedire ai magistrati l’accesso a una verità scomoda. Un casino in cui ci sguazza un quotidiano puntuto come I Fatto, il cui appello a sostegno dei magistrati d’accusa di Palermo è stato firmato da molti vip o presunti tali, i quali spesso accompagnavano le loro firme con motivazioni che c’entravano niente con le questioni in gioco. «Chi si firma è perduto» scriveva mezzo secolo fa Ennio Flaiano.
AGGUATI E OMICIDI
Scherzo. Se la questione in gioco è, e non può non essere, l’autonomia di iniziativa e di indagine dei magistrati d’accusa, questa autonomia è sacrosanta e va lasciata intatta. Non fosse che non firmo mai appelli, sotto questo aspetto e per questa ragione lo firmerei anch’io l’appello del Fatto. Stiamo parlando difatti di questioni drammatiche e di lungo scorso della nostra storia recente. Lo ha detto l’ex ministro di Giustizia Claudio Martelli in un’intervista al Fatto. Ogni cittadino italiano ha il diritto di sapere perché sono stati uccisi a quel modo Borsellino e la sua scorta; ogni cittadino italiano ha il diritto di sapere come sia stato possibile che per quasi vent’anni fossero indicati e condannati come colpevoli del massacro alcuni delinquenti mafiosi che di quel massacro erano innocenti; ogni cittadino ha il diritto di sapere se nel 1992 e dintorni ci sia stata una «trattativa» tra pezzi dello Stato e capimafia disposti ad attenuare la ferocia degli agguati e degli omicidi.
Beninteso, quella trattativa ci fosse stata e fosse davvero riuscita ad attenuare quella ferocia col concedere una detenzione carceraria meno spietata ad alcuni mafiosi in cella, di questo nessun capo di governo o presidente della Repubblica del tempo o ex ministro o ex capo di polizia o dei carabinieri può essere oggetto di imputazione. Quando c’è una guerra, sempre ci sono delle trattative tra l’una e l’altra delle due parti. L’ho già scritto su Libero. Al tempo dello sterminio degli ebrei da parte dei nazi, ci furono ebrei che «trattarono» per salvare qualche migliaio di vite. Durante la guerra partigiana del 1943-45 in Italia fu continua la trattativa per scambiarsi prigionieri, per salvare dei condannati a morte. Mi aspetto anzi che qualcuno degli uomini di potere del 1992 e dintorni lo dica apertamente, che lui questo fece. Se mi arriva addosso il diavolo, disse una volta un famoso uomo politico
francese, prima che mi sgozzi io vado a «trattare» con lui. Chi finge che le cose non siano sempre andate così è soltanto un ipocrita, o più semplicemente uno che fa il suo marketing politico o giornalistico nel pubblico dei «duri e puri». Un marketing oggi di gran successo, uno dei pochi a non essere immiserito dalla crisi economica.
Fin qui ci siamo intesi. Ora viene il bello, e ne parlo con il massimo rispetto per i magistrati d’accusa. E non posso non tornare sulla figura professionale e politico-morale di Ingroia. È stato lui a dire (in un’intervista a Enrico Deaglio pubblicata sul supplemento del venerdì del Corriere della Sera) che la mafia siciliana agli inizi degli anni Novanta poteva essere battuta: «Oh certo. Nei primi anni Novanta la mafia era alle corde. Cosa Nostra fu salvata, in modo criminale, ma anche politico. Negli anni delle stragi è possibile che abbiano pensato che una mafia più ragionevole fosse una mafia con cui si poteva ragionare».
NOMI E CRIMINI
Ho un sobbalzo e mi fermo. Se ho capito bene, Ingroia sostiene che all’inizio degli anni Novanta ci fu una combutta «criminale» tra la mafia e lo Stato, una combutta il cui fine essenziale era «salvare» la mafia come pilone portante della società e dell’economia siciliana. Un crimine un crimine un crimine. Un marchio criminale che segnerebbe la storia e l’identità del nostro Paese, e a buon intenditor poche parole: i nomi di quei ministri e capi governo «criminali» voi li avete in punta alle labbra, da Giulio Andreotti a Silvio Berlusconi a una caterva di ministri e uomini politici democristiani e socialisti e altro. Se ho inteso male il pensiero di Ingroia, me ne scuso. Ma non credo di averlo inteso male.
Ebbene qui l’auto - nomia della magistratura d’accusa non c’entra nulla. Qui è tutt’altro romanzo. Il romanzo infinito di cui aveva scritto la prima pagina Pier Paolo Pasolini con quella sua famosa invettiva antidemocristiana in cui diceva di sapere i nomi e tutto dei loro crimini. Questo è davvero un altro romanzo. Il sempiterno romanzo del Male Assoluto e dei malfattori di professione che altro mestiere non possono fare se non il Male Assoluto. A molti questo romanzo piace. Questo romanzo fosse vero, da italiano ne sarei annichilito. Solo che a me sembra un romanzo da quattro soldi, la scorciatoia la più breve a tentare di capire la tragedia della recente storia siciliana e italiana.