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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

L’OLIMPIADE DEL FUTURO CERCA NUOVE CITTÀ

LONDRA — L’impressione? È sempre più difficile fare sport ad altissimo livello e confermare un valore in funzione anche della propria storia a cinque cerchi. Questo traspare dal medagliere di Londra 2012. Certo, ci sono valori ormai consolidati, difficilmente scalfibili: Usa e Cina lotteranno chissà per quanto ancora per il primato olimpico. Alle loro spalle, un colosso quale la Russia ha rimediato in extremis a un bilancio a lungo deficitario, ma ha lasciato un’idea di minore potenza. E c’è già un allarme sul fronte della Gran Bretagna, a dispetto della prevedibile orgia di medaglie (comprese quelle gentilmente omaggiate dalle giurie) in quanto nazione organizzatrice.
Dopo il tonfo di Atlanta 1996 (un solo oro e 15 podi), i britannici avviarono un programma di rilancio e di sostegno dell’agonismo finalizzato ai Giochi: lo attuarono anche con i proventi delle lotterie. Quel progetto ha toccato il massimo con l’Olimpiade casalinga: adesso si teme l’«effetto rebound» e già molti medagliati hanno chiesto ai dirigenti come pensano di procedere per evitare un brusco risveglio a Rio 2016.
Paese che vai, problema che incontri. Bund o non bund, perfino la Germania ha le sue zone oscure: rispetto a Pechino ha smarrito 5 titoli olimpici, facendo sì che la Francia la raggiungesse sul versante degli ori. A fronte poi di poderose avanzate (Ungheria da 3 a 8 titoli e nono posto nella classifica generale; Kazakhstan, 7 volte primo), ecco il dimezzamento dell’Australia in 4 anni (da 14 ori a 7) e l’afflosciamento del Giappone, incapace di scalzare la Corea del Sud — oggi la quinta potenza sportiva del pianeta — dal ruolo consolidato di principale alternativa asiatica alla Cina. E se infine volete vedere i segni dello «spread» che monta, ecco la Spagna che arretra (2 titoli in meno rispetto a Pechino), salvo contenere i danni nel bilancio generale (solo una medaglia persa dal 2008), o una Grecia e un Portogallo che chiudono rispettivamente con 2 bronzi e un argento. Ma per i greci in particolare — e questo già lo si sapeva — la vera vittoria è stata riuscire a inviare una spedizione a Londra, nonostante la dilaniante crisi economica.
Al di là di ogni valutazione su chi sale e chi scende nel medagliere, dopo i Giochi emerge una riflessione: sarà sempre più complicato, nonostante l’ottimismo del Cio, trovare città disponibili a ospitare un evento del genere. Prima o dopo, d’accordo, i cinque cerchi troveranno casa nell’area del Golfo, una delle poche aree nelle quali la ricchezza c’è ed è vera: la recente bocciatura di Doha e del Qatar non fa testo, la chiave di volta sarà trovare una quadratura sulle questioni religiose e sulle relazioni del mondo arabo al suo interno e all’esterno.
Ma poi, chi altro? La vecchia Europa caverà altre candidature, a parte la Madrid che corre per il 2020 e, si dice, la Parigi che si rifarà viva per puntare al 2024? E il Nord America avrà davvero voglia di riproporsi, in particolare con gli Usa? Siamo infine sicuri che in Africa si troverà chi avrà il coraggio di chiedere i primi Giochi del Continente nero?
A nostro avviso, comunque, la criticità è un’altra. L’impasse globale del mondo suggerisce l’opportunità di un correttivo allo schema che prevede l’assegnazione dei Giochi sette anni prima rispetto alla loro celebrazione.
Sta diventando un periodo non in sintonia con le evoluzioni, spesso impetuose e repentine, degli scenari, partendo da quelli economici. Ad esempio: quando decise di rilanciare Madrid, la Spagna era considerata un Paese affidabile e di riferimento. Oggi passa difficoltà note e bisogna domandarsi se la corsa per il 2020 sia sempre sostenibile, a maggior ragione adesso che la città è una delle tre finaliste. Quanto al Giappone, che candida Tokio, non è esente a sua volta dai guai, mentre la Turchia con Istanbul, la terza opzione per la decisione che sarà presa nel settembre 2013, ha i soldi ed è emergente, ma è un rebus dal punto di vista politico (basti pensare alle relazioni quasi azzerate con la Siria).
Che fare? Una cosa su tutte, tanto per cominciare: ridurre da sette a cinque gli anni che precedono l’assegnazione. Oltre a fornire maggiore flessibilità per adattarsi ad eventuali cambiamenti di scenario, è uno schema che inviterà a non perdersi in progetti faraonici e in quell’elefantiasi che rischia di essere un male mortale per i Giochi.