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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

La frenata lunga dell’auto europea – Peugeot taglia 14mila posti di lavoro e chiude uno stabilimento in Francia

La frenata lunga dell’auto europea – Peugeot taglia 14mila posti di lavoro e chiude uno stabilimento in Francia. Opel, che ha ridotto l’organico di oltre 8mila posti (e chiuso l’impianto di Anversa, in Belgio), si prepara a una nuova ristrutturazione. Fiat, che ha fermato a fine 2011 la fabbrica siciliana di Termini Imerese, sospende gli investimenti a Mirafiori e manda in cassa integrazione non solo gli operai, ma anche molti impiegati. È solo l’effetto della crisi europea o il settore dell’automobile è di fronte a una trasformazione strutturale? Il comparto è ciclico, ovvero soggetto agli alti e bassi della congiuntura. Negli ultimi anni le crisi sono state due: quella del 2008/2009, innescata dal fallimento della banca Lehman e dalla tempesta finanziaria; e quella odierna, legata alle turbolenze valutarie e alla congiuntura economica negativa, soprattutto nei Paesi del Sud Europa. Nel primo caso le vendite di auto in Europa hanno "tenuto" relativamente bene grazie agli incentivi varati dai maggiori Paesi per sostenere la domanda; ora il mercato è in caduta libera: per il 2012 si prevedono (nei Paesi Ue più Efta) 12,7 milioni di unità vendute contro i 16 milioni del 2007. In Europa si vendono meno auto – molte meno – di quante gli stabilimenti del vecchio continente siano in grado di produrre. La sovracapacità produttiva ha un impatto diretto sui conti dei costruttori. In un settore caratterizzato da elevati investimenti fissi per stabilimenti, linee produttive e nuovi modelli, per fare utili una fabbrica deve "girare" almeno all’80% della sua capacità teorica. Se resta al di sotto del 70%, brucia denaro – e ne brucia tanto più, quanto più basso è il tasso di utilizzo. Secondo un recente studio della società di consulenza AlixPartners, l’ultimo anno in cui l’utilizzo della capacità produttiva in Europa ha superato l’80% è stato proprio il 2007, l’anno del record di vendite. Il tonfo del 20% tra il 2007 e le previsioni 2012 equivale alla produzione di 10-15 stabilimenti di medie dimensioni. In Paesi come l’Italia la situazione può essere tamponata a breve termine con la cassa integrazione; chiaramente, però, questa non può essere una soluzione di lungo periodo: la distanza tra domanda e offerta, a giudizio degli osservatori, non è congiunturale. Da un lato, il mercato europeo, con una popolazione che cresce pochissimo e un tasso di motorizzazione fra i più elevati al mondo, è saturo: secondo molti osservatori la domanda di auto potrebbe non tornare più ai livelli pre-crisi; dall’altro, negli ultimi vent’anni i costruttori hanno continuato ad aumentare la capacità produttiva, in particolare aprendo fabbriche nei Paesi dell’Est europeo per sfruttare i costi del lavoro più bassi. Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania sono diventate in pochi anni basi produttive di tutto rispetto. A un mercato stagnante e alla capacità addizionale in Europa si aggiunge la pressione delle importazioni da Giappone e soprattutto Corea: nel primo semestre le immatricolazioni di Hyundai e soci sono salite a quasi 500mila unità dalle 425mila di un anno prima, il tutto in un mercato che ha perso il 7 per cento. Il 1° luglio 2011 è entrato in vigore il trattato di libero scambio tra Ue e Corea del Sud, trattato che l’industria dell’auto ha a lungo avversato. Parigi ha chiesto a Bruxelles di «sorvegliare preventivamente le importazioni di auto dalla Corea»; una misura evocata anche da parte italiana e da Sergio Marchionne. In un mercato depresso e sempre più competitivo, i costruttori sono costretti spesso a vendere le auto in perdita pur di far girare le catene di montaggio: per questo in Europa è difficile fare utili vendendo automobili. O meglio: è molto difficile per chi non è tedesco. Nel 2011 i costruttori europei hanno ottenuto circa 26 miliardi di utili a livello operativo, di cui 23,7 sono andati a Volkswagen, Bmw, Mercedes e Porsche. La storia si è ripetuta nel 1° semestre 2012: in perdita o in pareggio tutti i costruttori "latini" – ovvero Fiat, Peugeot-Citroen e Renault – e le filiali europee di quelli americani – Gm-Opel e Ford. Anche nell’auto, insomma, Berlino ride e quasi tutti gli altri piangono. Alcune ragioni della maggiore competitività dei tedeschi vengono analizzate qui a fianco; di certo ha pesato il maggiore impatto della recessione sui mercati del Sud Europa – Spagna e Italia, ma anche Francia; di recente però si sono moltiplicati i segnali di una frenata delle vendite anche in Germania. Come uscire dalla crisi? Il miglioramento della congiuntura sarebbe la panacea, ma rischia di arrivare troppo tardi. Le soluzioni protezionistiche – come quella suggerita dai francesi in chiave anti-coreana – hanno limiti e controindicazioni. Molte delle auto coreane immatricolate nella Ue sono anche prodotte nella Ue; e l’industria dell’auto europea ha nel suo insieme un saldo positivo della bilancia commerciale, ovvero esporta più auto e componenti di quante non ne importi: nel 2010 (ultimo anno per cui Bruxelles dispone di dati) l’export a valore è stato di 132 miliardi di euro contro 47 miliardi di importazioni, con un saldo attivo di 85 miliardi. Sergio Marchionne ha più volte auspicato, in questi mesi, una soluzione a livello europeo al problema della sovracapacità – un po’ come avvenne per il settore siderurgico una ventina d’anni fa. Ma l’ostacolo maggiore su questa via è che la crisi non è uguale per tutti. «Perché le nostre aziende in salute dovrebbero pagare per una crisi che non le colpisce?», è la domanda tedesca. Perciò è difficile immaginare un «disarmo multilaterale» ed è probabile che, prima di migliorare, la situazione debba passare per qualche altra tempesta. Non diversamente, in fondo, da quanto potrebbe accadere all’euro.