Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 15/8/2012, 15 agosto 2012
Legati dalla crisi– Nell’area euro la recessione si allarga a tutti i Paesi perché ciò che lega le economie è esattamente ciò che le separa: la paura, la domanda esistenziale sulla sopravvivenza della moneta comune
Legati dalla crisi– Nell’area euro la recessione si allarga a tutti i Paesi perché ciò che lega le economie è esattamente ciò che le separa: la paura, la domanda esistenziale sulla sopravvivenza della moneta comune. I dati molto severi dell’economia europea ci rimandano l’immagine di 17 Paesi i cui interessi "nazionali" sono in realtà fortemente legati l’uno all’altro, nel bene e nel male. L’economia tedesca ha una resistenza eccezionale, ma si calcola che stia anch’essa declinando nella seconda metà del 2012. Circa un anno fa Berlino prevedeva una crescita del 2,7%, la revisione al ribasso a fine anno sarà ampia, quindi, quanto quella italiana. Per quanto diverse, Germania e Italia dipendono entrambe dalle economie vicine. Nel corso degli anni Novanta la dipendenza dall’estero della Germania è raddoppiata ed è ora tripla rispetto a quella americana o giapponese. Inevitabilmente, il destino degli altri Paesi è diventato il destino tedesco. Questo vale anche per l’Italia dove lo sviluppo del Pil è strettamente correlato con l’andamento della produzione industriale, crollata dell’8% rispetto al secondo trimestre del 2011 a causa della crisi dell’euro, dei suoi riflessi fiscali e della frenata globale. Di riflesso all’interdipendenza economica, in Germania e in Italia sta crescendo il dibattito politico - simmetrico e opposto nei due Paesi - sulle soluzioni della crisi e sui loro effetti sulla democrazia e la sovranità nazionali. Se in Italia si discute con molta leggerezza di "interessi nazionali" e di "sovranità" che, come i dati dell’economia dimostrano, non esiste nei termini ottocenteschi cari ai commentatori di casa nostra, in Germania il tema è la democrazia. Tutta Europa attende la sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 12 settembre sulla legittimità degli aiuti comuni e ne vede l’ombra proiettata sul cantiere europeo dell’unione politica e sulle elezioni federali del prossimo anno, in un bivio non simbolico tra esigenze europee e consenso dei cittadini. In un certo senso la crisi sta arrivando al suo momento esistenziale. Certo, se questo cruciale dibattito fosse europeo, staremmo discutendo delle origini della crisi e delle sue responsabilità, cioè di giustizia. Ma fin dall’inizio della crisi globale, pur con il suo caleidoscopio di abusi delle banche e di costi inauditi scaricati sui debiti pubblici, la questione della giustizia è stata disinvoltamente trascurata. Uno studioso di Kant avrebbe parlato di «eclissi della giustizia»: la priorità era rimettere in piedi le mura della città, sia a Washington, sia in Europa. Perso di vista il tema della giustizia si è smarrito però anche il più importante criterio ordinativo del discorso pubblico europeo e la bussola per sviluppare in modo ordinato un ragionamento sulla soluzione. Infatti il problema della crisi europea è subito diventato una misurazione dei diritti e degli interessi di uno Stato rispetto a un altro. È stata la riduzione della giustizia a procedura o a espressione della volontà della maggioranza che si potevano manifestare solo dentro i confini nazionali a costo di creare ingiustizie fuori dai propri confini. Così la crisi si è ridotta a un sistema di recriminazioni tra stati e tra popoli fino a quando la crisi stessa ha colpito di nuovo, pur in misura diversa, tutta l’area euro. L’attesa per la sentenza tedesca del 12 settembre non deve sorprendere. Uscire dalla logica nazionale è la responsabilità storica che pesa sulle spalle delle toghe di Karlsruhe. In un certo senso è come se i giudici avessero le spalle al muro difendendo una Carta che nasce dalla crisi dello stato nazionale. La Legge fondamentale tedesca, ispirata e autorizzata dai governi militari alleati, non poteva prevedere la difesa eterna delle prerogative di uno Stato tedesco che nemmeno esisteva quando essa è stata concepita. Il testo infatti si riconosce fin dal preambolo nell’unione dell’Europa e prevede un articolo che richiama le istituzioni del Paese all’integrazione dell’Europa fin tanto che essa rispetta i principi di democrazia e sussidiarietà. I costituzionalisti tedeschi sanno che sarà molto difficile argomentare contro la legittimità del Meccanismo di stabilità europeo e nuovi argomenti nel dibattito costituzionale vengono portati a favore anche degli eurobond una volta che l’unione fiscale sarà realizzata. Essi infatti comportano un costo teorico per il bilancio tedesco pari al solo differenziale tra i tassi d’interesse tedeschi e quelli medi dell’area euro. Non sono dunque in grado di violare il diritto del Parlamento tedesco a disporre di sufficienti risorse finanziarie nelle leggi di bilancio annuali. A patto naturalmente che gli altri Paesi siano altrettanto rispettosi dei principi di interdipendenza. In questo il dibattito italiano sulla sovranità e sulla ristrutturazione del debito ha aspetti inquietanti. Il fondo di stabilità europeo per esempio viene considerato un’ingerenza nella sovranità, nonostante il suo obiettivo sia quello di sottrarre il Paese alla sovranità irrazionale dei mercati finanziari. Le soluzioni alla crisi nello spirito della Legge fondamentale tedesca richiedono tutte un avanzamento del livello di democrazia nelle istituzioni europee e di integrazione tra i Paesi. Era questo in fondo lo spirito della Carta fin da quando le potenze occupanti la autorizzarono. Non è un caso che nel testo della Legge tedesca non compaia mai la parola sovranità, attorno al quale invece noi italiani ci stiamo nascondendo. Carlo Bastasin