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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

TRUFFATI DA UN SECOLO IN NOME DELL’ORO NERO

Che c’entra Marcello Dell’Utri con la benzina?

C’entra, c’entra. Dell’Utri c’entra sempre, come una volta Giulio Andreotti, anche nel furto della marmellata.
È dentro un’indagine perché si è impadronito del capitolo mancante di Petrolio (sempre che non sia un capitolo patacca), l’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini a causa del quale il poeta sarebbe stato ucciso, forse dalla mafia, perché conterrebbe la verità sulla morte di Enrico Mattei, il quale stava dando guerra alle Sette Sorelle, e cioè alla supermafia globale e legale della benzina e avanti così, all’infinito. La benzina fa girare il mondo. Ecco che c’entra Dell’Utri con la benzina. E poi è la benzina che c’entra con tutto. La benzina alimenta il propulsore della vorticosa complottistica globale. Senza benzina non si fermano soltanto i catorci che ci conducono ovunque, al lavoro, allo stadio, in vacanza; senza benzina si ferma la politica. S’arresta l’intera storia degli ultimi cento anni. Per la benzina - e cioè per i primi giacimenti di petrolio - si stabilirono i criteri di spartizione dell’Impero Ottomano dopo la Grande Guerra. E anche la sete di benzina infuocò le potenze nella Seconda Guerra Mondiale.

Da allora non c’è conflitto - fino all’ultimissimo, quello a Muammar Gheddafi - le cui ragioni evidenti, sfumate o occulte non risiedano nella bramosia di benzina. Ogni piccola battaglia quotidiana si ingaggia sulla benzina. Il ministro Renato Brunetta, al giornalista che lo incalzava per il millesimo aumento del carburante, rispose che però era diminuito il prezzo delle zucchine. Il vero prezzo era ed è quello del consenso. Non c’è leader di partito o caposezione periferico immune dall’indignazione davanti al meraviglioso elenco delle accise che danno alla benzina il costo di un vino. Si cominciò con Benito Mussolini e la sua campagna d’Abissinia del 1935, finanziata con una lira abbondante su ogni litro di benzina. Quello era un popolo dedito al Duce sino a donargli l’oro delle fedi, figuriamoci il pieno (e le auto erano poche). Ma poi, dalla crisi di Suez al disastro del Vajont, dall’alluvione di Firenze al Belice e fino a ieri, coi terremoti d’Abruzzo e d’Emilia - la tassa sulla disgrazia, disgraziatamente detta - ogni occasione è stata buona per tirare su qualche quattrino; ai due che ancora non lo sapessero: l’accisa sull’avventura colonialistica del fascio la continuiamo a pagare oggi.

Tanto non c’è essere umano che non abbia a che fare con la benzina per l’accendino, il trattore, l’autobus, l’aereo. Con la benzina abbiamo attraversato e inquinato il mondo alle velocità del motore a scoppio. Per la benzina abbiamo inventato l’ecologismo, l’austerity, le domeniche a piedi degli Anni Settanta, le targhe alterne più avanti. L’ambientalismo lo abbiamo addirittura nutrito di benzina, ed è benzina senza piombo o benzina verde, coi rigorosi a dire che la benzina verde non era poi così verde. Ebbene, si diceva, non c’è leader di partito o caposezione periferico immune dall’indignazione per la periodica e irreversibile rapina a mano armata - spesso sotto Ferragosto, quando la gente sta sfrizionando ansiosa di spiaggia o vetta - e al giro dopo la benzina non cala di un soldo. Resta sempre lì. Con tutte le sue accise, la sua Iva sulle accise, e cioè le tasse sulle tasse. Ma i politici distratti nemmeno sanno quanto costa: il 50 per cento dei parlamentari (compresi Tonino Di Pietro, Pier Ferdinando Casini e Walter Veltroni) non ne ha idea, ha informato Quattroruote l’ottobre scorso. Eppure, dallo Scandalo Petroli che lambì la P2 alle tangenti dell’Eni, la benzina è stata succhiata, ingollata, tracannata. Ormai quella ci scorre nelle vene, altro che sangue.