Andrea Mercenaro, Panorama 17/8/2012, 17 agosto 2012
INTERVISTA LEOLUCA ORLANDO
Cosa vuol fare, signor sindaco di Palermo?
Mi sembra evidente, è nata a Palermo la Terza repubblica.
Ci risiamo, di traffico, centro storico o spazzatura a lei non potrebbe fregare di meno.
Al contrario, chieda in giro.
Dubito che i residenti di Resuttana l’abbiano votata con l’obiettivo di farli diventare per la quarta volta il trampolino di lancio delle sue ambizioni nazionali.
Io mi occupo della città, e ventre a terra, ma non rinuncio alla politica. Il voto di Palermo è stato una rivoluzione premonitrice, vorrei semplicemente farlo sapere al Paese.
Questa l’abbiamo già sentita.
Errore, questo non è mai capitato.
Coniarono per lei la definizione di «sindaco fuori dal comune». Stava sempre in giro per il mondo, a casa Clinton, al caffè con Pina Bausch, al circolo con Peter Brook, mentre a Palermo così così.
A parte il così così, che è falso, i cittadini di qui sono ancora grati per il fatto che io abbia risollevato il nome della loro città nel mondo. Qualche provinciale non lo capisce.
Il provinciale vuole roba che si tocca.
Il palermitano mi ha dato il 74 per cento, lei capisce?
Un qualunque Luigi De Magistris di Palermo.
Non capisce. Giuliano Pisapia aveva dalla sua il Pd. De Magistris aveva dalla sua il Pd. Io avevo contro il Pd e contro l’Udc.
Uno speciale De Magistris di Palermo.
No, lo strumento di un sommovimento epocale che ha cancellato il centro-sinistra. Esattamente l’opposto di Pisapia e di quell’altro, uno che stimo tra l’altro, per carità. Quando, dopo il mio trionfo, Bersani e Rosy Bindi cantarono vittoria, risi di cuore.
Il suo partito ha preso il 10 per cento.
Anche l’Italia dei valori è inadeguata.
Chi sarebbe adeguato?
Nessun partito. Adeguati sono Flavio Tosi e Federico Pizzarotti.
La Terza repubblica con Tosi, Orlando e Pizzarotti?
Facciamo con Monti e Fornero?
Facciamo a tenerci quel che c’è.
Facciamo di no.
Ne ha avvisato Antonio Di Pietro?
L’accordo con lui è d’acciaio.
Sente spesso Tosi e Pizzarotti?
Spessissimo.
Senta, signor sindaco, capisco le difficoltà, il sentirsi finiti e tutto il resto, come le è capitato a un certo punto, ma cos’aspetta un gran borghese pari suo a mandare a quel paese quel furbastro di Di Pietro?
Mai.
C’è chi aspira alle cose concrete, cioè a campare il meglio possibile, e c’è chi ha orizzonti più vasti, «la nostalgia degli spazi illimitati». Lei appartiene a questi ultimi.
Le ho detto mai.
La conosco abbastanza per tradurre il suo «mai» in un più confortevole «non è ancora arrivato il momento»?
Non mi conosce abbastanza.
Di Pietro ha chiuso.
Non lo conosce abbastanza.
Sta dicendo che il suo leader pensa di De Magistris e di Pisapia le stesse cattiverie che pensa lei?
Glielo chieda.
Se lo chiamo mi querela.
Non lo chiami.
Lo chiama lei per me?
Non esageriamo. Lui dell’Italia dei valori è il capo, io sono il leader.
Raffinata distinzione, magari Di Pietro non la capisce.
La capisce, la capisce.
Sta ledendo la sua autorevolezza.
Ho un accordo d’acciaio.
Tra poco si voterà per la Sicilia.
E qui sta il punto decisivo, a dirigere la regione deve andare uno come me.
Non esiste.
Ne ho in mente tre.
I nomi?
No, naturalmente.
Uno?
No. Una condizione, se vuole.
Prego.
Non dev’essere del Pd e non dev’essere dell’Udc.
Manco morto?
Manco vivo.
Il sindaco Orlando ci deve arrivare, intanto, da qui a là.
In che senso?
Deve sopravvivere facendo finta di governare una città dove l’antimafia non è più moneta corrente e dove di moneta corrente succhiata da Roma non ce n’è più.
Quando fui sindaco di Palermo, Moody’s ci dava la tripla A, una più della New York col mio amico Rudolph Giuliani e pari alla Germania della signora Angela Merkel.
Ne ha informato i suoi concittadini di Resuttana e dello Zen?
I bilanci erano in ordine.
In disordine erano le famiglie.
Mi hanno dato il 74 per cento.
Contro di lei c’era un frillo.
Il 74 per cento.
Quando Silvio Berlusconi si appellava al 51 volevate portarlo via con i carabinieri.
Ci siamo quasi riusciti, no?
Vero. Ma era a Roma, e l’odiato Pier Luigi Bersani diede un aiutino. Chissà a Palermo. La mafia che vi faceva grassi non c’è più. E sa chi l’ha sconfitta? Il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni, il generale Giampaolo Ganzer, i suoi nemici carabinieri che lei vorrebbe in galera. Intende forse porgere loro delle scuse?
Nessuna. Non devo scusarmi con uno Stato che ha trattato con la mafia.
Chi ha detto che ha trattato con la mafia?
Lo so.
Ha prove? Indizi?
Non ne ho bisogno. È una verità che sento storica.
Scusi, ma qui c’è un’inchiesta giudiziaria senza prove, con l’indagatore in Guatemala, il capo Di Pietro che lo difende a spada tratta e il cosiddetto leader del capo che non dice un ba. Vuole forse dire un ba?
Nessun ba. Un cittadino ha il diritto di accusare senza prove, di avvertire nel profondo, di sapere politicamente e politicamente agire.
Quale politicamente? Affidare le castagne al magistrato e poi, se il magistrato non ve le cava dal fuoco, intignare perfino. Chieda scusa, su. E, già che c’è, chieda scusa a Giovanni Falcone, al maresciallo Antonino Lombardo, e si distingua dal suo capo.
Sono grotteschi quelli come lei. Credono che un cittadino non possa indicare, che non abbia il diritto di accusare se non ha prove certe. Ma un cittadino non è la legge, anzi, ha il dovere morale di esprimere alla legge la convinzione che ha maturato.
E va in televisione, manifesta certezze giuridiche, e le pretende certificate dal leguleio di turno? E delega la politica a lui? Aggiungendo magari, come una volta aggiunse lei, che «con l’arrivo di Gian Carlo Caselli, dopo Falcone, la lotta alla mafia ha preso nuovamente energia»?
Non ho mai pronunciato quella frase.
L’ha pronunciata.
È falso.
È vero. Potrei dirle, barando, e copiando i suoi modi, che questa è comunque la convinzione che ho maturato e in quanto tale la denuncio pubblicamente.
Vi piacerebbe che si accusasse la mafia e non i manutengoli politici, non i complici, non i mandanti. Spiacente, non è la mia storia e non lo sarà mai. Ero il consigliere giuridico di Piersanti Mattarella, quando venne ammazzato. Andai dal giudice Rocco Chinnici e gli parlai: non ho prove, non ho indizi, ma affermo che un omicidio così non può essere avvenuto senza il consenso della corrente andreottiana, di Salvo Lima e di Vito Ciancimino.
Capisce la differenza tra il sussurrarlo come privato cittadino e il proclamarlo in televisione da Michele Santoro, in quanto uomo delle istituzioni, costruendoci sopra una campagna che accusa di complicità chi non si presta?
Lo rifarei, non ho nulla di cui pentirmi.
Voterebbe di nuovo per la carcerazione preventiva del senatore Luigi Lusi?
Senza dubbio.
Non poteva ripetere il reato, non poteva fuggire, non poteva inquinare le prove.
Sono contro la carcerazione preventiva, ma a partire dai più deboli, mai dalla casta.
Sa che la storia può muoversi a partire dalla condizione dei più noti? Che l’indifferenza verso gli handicappati in Cina venne superata perché il figlio di un leader comunista soffriva di quella condizione? E che milioni di cinesi storpi ne beneficiarono da allora? E che l’ingiustizia verso un privilegiato non compensa mai l’ingiustizia vergognosa verso 1.000 sottomessi?
È straordinario come riusciate ad arrampicarvi sugli specchi pur di difendere uno dei vostri. Non rinuncerò per questo al mio punto di vista e non verrò meno alla mia coerenza verso i più umili. Sono per cambiare la legge sulla carcerazione preventiva. Ma per tutti.
Se la ricorda la vicenda della Cosi e degli appalti finalmente trasparenti a Palermo? Quando, lei sindaco, l’appalto per l’illuminazione e le fogne andarono all’impresa del conte Vaselli?
Fece un ribasso d’asta del 25,6 per cento.
Già, e la ConsCoop di Forlì del 5,21. Poi si scoprì che dietro il conte c’era Vito Ciancimino e che fu lui a versare 7 miliardi di cauzione.
Allora non si sapeva.
Vero. E lei si giustificò così: «Ma la Cosi aveva il certificato antimafia».
Già, ce l’aveva. L’infinita potenza della mafia.
Dopo tanti anni ha da rimproverarsi qualcosa?
Nulla.
Quando dovrebbe nascere la Terza repubblica con Tosi e Pizzarotti?
Non prima del 2018.