Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  agosto 17 Venerdì calendario

1929, LA SPECULAZIONE FINISCE COL FRAGORE DEL CROLLO

Nel 1995, commentando la tempesta finanziaria che si era abbattuta sul Messico, Rudi Dorn-
busch ricordò che i tempi di preparazione di una crisi sono molto più lunghi di quanto normalmente ci immaginiamo, ma poi tutto succede in una notte. Da cosa dipende la cecità che ci coglie proprio nei momenti in cui dovremmo tenere bene aperti gli occhi? Quando le cose vanno a gonfie vele e la speculazione imperversa, non siamo disposti a credere che domani il mondo possa essere diverso, che l’euforia possa convertirsi in depressione. Quando le avvisaglie diventano più preoccupanti pensiamo che la crisi, forse, arriverà, ma non ora.
Negli anni Venti non c’era una evidente ragione per credere che nel giro di poco tempo l’economia più prospera del pianeta sarebbe stata travolta. Non erano soltanto gli uomini politici a manifestare il loro entusiasmo per i successi dell’economia. Al coro si unirono anche raffinati uomini di cultura ed eminenti studiosi. Nel dicembre del 1928, un mese dopo aver vinto le elezioni, Herbert Hoover dichiarò trionfalmente: «Con la garanzia della pace che durerà ancora per molti anni, il mondo si trova ora alla vigilia di una grande espansione commerciale». Qualche tempo prima il poeta Paul Claudel, ambasciatore francese a Washington, si mostrava stupito di fronte alla “prosperità inaudita di cui godevano gli Stati Uniti”. Alla metà del 1929 Irving Fisher, uno degli economisti più prestigiosi del suo tempo, proclamò senza esitazione che “il corso dei titoli aveva raggiunto quello che sembrava un livello permanentemente elevato” (pochi mesi dopo scontò la sua incauta profezia rimanendo intrappolato nel crollo di Wall Street).
In realtà la speculazione era iniziata alcuni anni prima con i terreni della Florida. Essa aveva raggiunto l’apice fra il 1924 e il 1925; poi il crollo dei prezzi aveva provocato non poche vittime. Ma anziché al credito sfrenato, come sarebbe stato giusto fare, la colpa venne attribuita ai due uragani che nell’autunno del 1926 avevano devastato i Caraibi. Ma non c’era tempo da perdere: chi voleva continuare nelle sue spericolate operazioni poteva ora rivolgersi a Wall Street che proprio in quell’anno aveva iniziato una scalata apparentemente inarrestabile.

Euforia irrazionale. Qualcuno aveva messo in guardia gli ottimisti più inguaribili contro l’euforia irrazionale che si era impadronita dell’America. All’inizio del 1929 Paul M. Warburg, uno dei banchieri più stimati del suo tempo, lanciò un severo monito contro la speculazione galoppante che, se non fosse stata frenata in tempo, avrebbe condotto il Paese verso una grave depressione. Per tutta risposta gli ambienti finanziari lo accusarono di voler “intralciare la prosperità americana” e qualcuno sussurrò che dietro alla sua sortita c’erano degli inconfessabili interessi personali.
Un mese prima del giovedì nero Robert Babson previde un crollo “terribile” dei corsi azionari con conseguenze devastanti: “Le fabbriche chiuderanno i battenti... molta gente resterà senza lavoro... il circolo vizioso avrà libero corso e il risultato sarà una severa depressione dell’attività economica”. Babson non era un personaggio qualsiasi e le sue dichiarazioni bastarono a provocare una brusca flessione a Wall Street. Questa volta la reazione fu ancora più rabbiosa. Uno dei più importanti operatori di Borsa affermò sprezzantemente: «Non ci lasceremo indurre a vendere in preda al panico per la gratuita previsione di una caduta delle quotazioni dovuta a un ben noto statistico».
La fine incominciò poco dopo. Il 21 ottobre le contrattazioni si mantennero su un livello elevato ma, e qui stava la novità, i prezzi manifestarono una tendenza al ribasso. Il giorno dopo, martedì, ci fu una breve tregua ma il 24 ottobre iniziò il tracollo. I prezzi erano in caduta libera e la telescrivente che trasmetteva le quotazioni in tempo reale non riusciva a tener dietro alle negoziazioni. A mezzogiorno ci fu un colpo di teatro. Richard Whitney, un broker della Morgan, si presentò nella sala delle contrattazioni effettuando massicci acquisti con il denaro che le maggiori banche gli avevano messo a disposizione: il sollievo durò solo nei due giorni del fine settimana. Il 28 ottobre, alla riapertura della Borsa, le vendite ripresero e il giorno dopo fu il disastro. Trentatré milioni di titoli passarono di mano a prezzi sempre più bassi. L’indice azionario che aveva raggiunto il picco di 381 nell’ottobre del 1929 scese a meno di 200 in pochi mesi e continuò ancora a scivolare fino al 1932 quando toccò la soglia minima di 41.
Le cause della bolla speculativa vennero ben presto alla luce. La Federal Reserve non aveva posto alcun limite all’espansione del credito (fra il 1923 e il 1929 i prestiti a brevissimo termine – quelli che alimentavano la speculazione – aumentarono di cinque volte) con il risultato che nel 1929 un americano su cento possedeva delle azioni acquistate non con i propri risparmi ma con i prestiti ottenuti dalle banche o dagli agenti di Borsa. Bastava avere in tasca 10 dollari per entrare a Wall Street e acquistare titoli per 100 dollari. La differenza veniva coperta da prestiti garantiti dalle stesse azioni. Finché i corsi salivano non c’era alcun problema, ma quando il vento incominciò a cambiare direzione i debitori non furono più in grado di restituire i prestiti e le banche più incaute fallirono una dopo l’altra con un impressionante effetto domino (fra il 1929 e il 1931 chiusero i battenti ben 4.300 istituti di credito).
John Kenneth Galbraith, uno dei più autorevoli storici del grande crollo, ha commentato: «Si dovrà convenire che, in tutta questa storia, ciò che vi è di originale, o comunque notevole, è molto poco. Prezzi spinti in alto dall’aspettativa che sarebbero aumentati; aspettative derivate dagli acquisti che ne derivavano. Quindi l’inevitabile rovesciamento di tali aspettative a causa di qualche effetto o processo in apparenza dannoso o magari soltanto a causa del logoramento dei compratori vulnerabili. Quale che sia la ragione, la certezza assoluta è che… il mondo della speculazione non finisce con un gemito ma con un fragore di crollo».