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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

L’arte di essere diversi e quindi «pazzi» - Il Museo della Follia a Matera è una sfida. Una sfida dei gio­vani contro i vecchi

L’arte di essere diversi e quindi «pazzi» - Il Museo della Follia a Matera è una sfida. Una sfida dei gio­vani contro i vecchi. Del bene contro il male. Nasce a Sale­mi dopo il Museo della Mafia oggi ri­masto ostaggio della mafia. Avreb­be dovuto arricchire quella città, con le iniziative nate in occasione del150˚dellaUnitàd’ItaliadicuiSa­lemi fu la prima capitale. Capitale di un sogno. Ma non è stato possibi­le realizzare quel sogno. Le forze del male hanno prevalso. E la ma­fia, uscita dal museo, ha vinto. Que­sta volta in modo beffardo. Non so­stituendosi allo Stato. Ma sostituita dallo Stato. Che occupa abusiva­mente il Comune attraverso tre commissari che, senza democra­zia, hanno sospeso ogni attività cre­ativa, su incarico diretto del mini­stro degli Interni. Volevano occupa­re anche la follia. Ma la follia non si lascia occupare, non accetta regole e commissariamenti. Io, sconfitto ma non rassegnato, meditavo la ri­sposta, avendo perso ogni fiducia nelle istituzioni e vedendole in ba­lia­di mistificatori che non combat­tono ma inventano un nemico, per affermare il loro oscuro potere. Con questo stesso metodo, in fon­do, nacquero i manicomi, non per isolare i pazzi dai sani, e tantomeno per curare i malati, ma per piegare gliirriducibili, perimpedireaidiver­si di essere diversi, per non consenti­re che qualcuno si muovesse fuori dalle regole stabilite. «Una feroce forza il mondo possiede...». È per questo, per quanto di anomalo, di originale,di creativo,d’individuale l’arte rappresenta, che si è sempre evidenziato e analizzato il nesso tra arte e follia. In questi percorsi sareb­be stato impensabile immaginare unrapportotramafiaefollia, seilpo­tere non avesse manifestato il suo volto attraverso la diabolica inven­zione della mafia, non quella reale ma quella immaginata, sospettata, inventata,per consolidare le sue for­me attraverso l’affermazione di uo­mini meschini e vili. I primi a non crederci e a subire una ingiustizia e a patire una violenza, misurata per la prima volta negli anni dello stu­dio e delle illusioni, sono stati i giovani che hanno lavora­to con me, pieni di vita e di entusia­smo, a Salemi. A poca distanza da Salemi ne ho in­crociatouno: Cesa­re Inzerillo. Che ri­tengo, non meno di Leonardo Scia­scia e di Gesualdo Bufalino, un dono della Sicilia all’Ita­lia­eilcuisoloimpe­gno basta a spinge­re nell’angolo la mafia e lo Stato che la garantisce dan­dole certificati di esistenza. Ilraccon­to di Inzerillo è tragico, prima che drammatico, ma è potentemente poetico. Una poesia del male, della malattia, della morte, proprio co­me quella del Caravaggio, del Cara­vaggio siciliano del Seppellimento di Santa Lucia e della Resurrezione di Lazzaro. Inzerillo parte da lì, pas­sa attraverso le catacombe dei Cap­puccini, tra le mummie di Burgio, i morti viventi di Bufalino e la Classe Morta di Tadeusz Kantor. Ne deri­va una umanità che è sempre uma­nità di fantasmi e che, nella sua vi­sione, stabilisce, al di là della vergo­gna dello Stato, con il canto libero e notturno della sua creatività, una continuità tra il Museo della Mafia e il Museo della Follia. A Matera entriamo, come si può immaginare, nello spazio ideale del Convicinio Sant’Antonio, un complesso di Chiese rupestri nei Sassi dove, per secoli, sono transita­te esistenze marginali. Immagini, documenti, oggetti raccontano, a la­tere della umanità evocata da Inze­rillo, le condizioni umilianti e dolen­ti dell’alienazione, le prescrizioni e le cure, i letti di contenzione. È l’in­troduzione al museo. Poi si entra nella Stanza della Griglia. E si incon­trano le persone. Uomini e donne come noi,sfortunati,umiliati,isola­ti. E ancora vivi nella incredula di­sperazione dei loro sguardi. Con­dannati senza colpa, per il solo de­stino di essere diversi, cioè indivi­dui. Inzerillo e Marilena Manzella te li mettono davanti, questi carce­rati, conladivisadellaloromalattia, che è la malattia della condizione umana e della psiche, con i segni di ciò che le è accaduto, degli incontri e delle occasioni. Inzerillo dà la trac­cia, evoca, inevitabilmente Sig­mund Freud e Michel Foucault, a cui fisicamente assomiglia, e apre la strada a un inedito riconoscimen­to, a una poesia della follia. Così, stanze, muri, pareti dell’ospedale psichiatrico abbandonato di Tera­mo entrano nell’obiettivo di Fabri­zio Sclocchini che rianima quegli spazi desolati con omaggi floreali di delicata poesia come a ricordare quelli che vi furono, confinati, ri­mossi, cancellati. Poi appare un ospitesolitario. Fratellodellemum­mie di Inzerillo, come tutti presente­assente in un pigiama a righe, tran­quillo e sfigurato. È uno di tanti, im­maginato da Gaetano Giuffrè. Poi c’è Grazia Cucco, indiavola­ta, con le sue allegorie e i suoi pae­saggi, ossessioni di una ragazza che ha frequentato chiese e conventi do­ve stanno, prigioniere dell’anima, folli di Dio, suore vigilate da prelati, che erano una volta felici nel loro giardino delle delizie, fra animali fantastici. Ma subito si ritorna nella fabbrica del male con i volti scuri e gli sguardi senza speranza degli umiliati pazienti di Vincenzo Baldi­ni. Nessuna città, nessuno spazio li accoglie. Stanno nei «non luoghi» della loro mente. Poi arriva un colle­ga visionario di Cesare Inzerillo: Lo­renzo Alessandri con la serie di Ca­mere con sogni e visioni di un mon­do parallelo. Tra le più straordina­rie espe­rienze narrative della pittu­ra italiana negli anni sterili nei quali la figurazione era bandita, l’estro di Alessandri non è soltanto una delle rare testimonianze del surrealismo ita­liano ma l’euforia dell’alienazione, il protocollo della fol­lia­come manifesta­zione di libertà e controleregoledel­l’habitat artistico torinese. Un classico della follia è Gino Sandri che, per una intera epoca, disegnerà i suoi fratelli nel­l’universo chiuso del manicomio con dolente partecipazione, con rassegnazione e una urgenza di non far mancare all’appello della vi­ta u­omini che sono vissuti fuori dal­la storia, non rilevati. Il manicomio, più del carcere, è il luogo dei rifiuti dove vengono chiusi quelli che non si adeguano, che non sono disposti ad accettare l’ordine del mondo, quelli che urlano la loro indisponi­bilità. Sandri, uno di loro, li osserva. Su quei volti non c’è mai un sorriso, sono individui che hanno perso la loro identità, e la matita di Sandri li carezza, li rianima. Diverso il caso di Carlo Zinelli, che non guarda la realtà che vede, che non illustra, che non documen­ta­ma trasferisce sulla carta i pensie­ri di un’anima turbata, le ossessio­ni, le ripetizioni, le processioni. È un puro visionario, dal quale esco­no archetipi invariati da circa dieci­mila anni. Il malato folle, che ha la ventura di esprimersi, si pone da­vanti a forme sempre nuove e insie­me ripetitive attraverso le quali si documenta e si riconosce il rappor­to tra follia e arte. Dai manicomi era difficile uscire, ma nei manicomi era ancora più dif­ficile entrare. Per questo è così stra­ordinaria la serie di ritratti fotografi­ci di Giordano Morganti che, men­tre impudicamente svela la condi­zione dei malati, li innalza a nuova e inedita dignità formale, con folgo­ran­ti primi piani o taglia a figura in­teracontrounfondaleneutro. Que­sti non sono più anonimi ma perso­nalità distinte; e, davanti ai loro cor­pi smagriti, offesi, costretti a pagare pernonaverefattonulla, èstatacon­cepita la Legge Basaglia. Sulle ceneri di questo mondo di emarginati, di abbandonati, di umi­liati si pone infine Roberta Fossati che, entrata nell’ospedale psichia­trico di Volterra, ha ritrovato la voce soffocata di un’anima sepolta: ed un lungo lamento che resta docu­mento e non diventa poesia se non nell’emozione che lo vivifica in chi ne ritrova la traccia sul muro. Così, chi non ha avuto la forza di far senti­re il proprio urlo disperato oggi, troppo tardi, lo fa arrivare alle orec­chie di una donna sensibile che lo trasferisce in immagini silenziose. Il Museo della Follia non è una storia della follia. È una serie di sug­gestioni, di paure, di prepotenze che dovranno riguardare anche noi,protetti e attratti dai matti.D’al­tra parte, non potendone fare a me­no, li abbiamo fatti diventare artisti. Se la follia vive nei sogni non ci pos­siamo liberare di lei.