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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

FINI, I GUAI DELL’AUTO BLU

Non passa inosservata un’au­to blu a Subiaco, borgo medievale di 9mila e dispari anime nell’en­troterra romano. Soprattutto se il conducente ha la pessima abitudi­ne di occupare, senza autorizzazione, spazi di parcheggio de­stinati ad altri. Ed ecco che quella che sem­brava una banalissima bega di condomi­nio s’è trasformata in una aspra disputa tra la Procura di Tivoli (che chiede chiarimen­ti­su quella macchina della Camera dei de­putati) e la presidenza di Montecitorio (che in nome della trasparenza ha fatto di tutto per non collaborare). La storia che ha fatto alzare la temperatura – ben più di «Ulisse» e «Nerone» - negli uffici di Gian­franco Fini parte da qui; da una semplicissi­ma denuncia che un cittadino esasperato invia alla Procura di Tivoli e che, col passa­re del tempo, diventa un magma imbaraz­zante per l’uomo di Montecarlo che fa spendere ai contribuenti 80mila euro per l’hotel alla sua scorta (copyright Libero ) e per il suo strettissimo entourage, a comin­ciare dalla segretaria-ombra Rita Marino. La ritrosia a collaborare con l’autorità giu­diziaria ha fatto saltare i nervi addirittura al procuratore capo Luigi De Ficchy, in ben altre faccende criminali affaccendato, e malvolentieri costretto a intervenire per il muro di gomma eretto a Montecitorio.
Per scoprire com’è che un esposto per questioni di viabilità in uno sperduto pae­sino­della provincia romana metta in fibril­lazione il «cerchio magico»della terza cari­ca dello Stato occorre tornare proprio a quella denuncia, inizialmente archiviata eppoi riaperta a seguito di ben motivata impugnazione. La scintilla della nostra storia la fa scoccare un testardo ispettore della polizia giudiziaria della Procura di Ti­voli che ben presto scopre come la vettura incriminata appartiene al parco-auto del­la Camera, anche se in realtà viene utilizza­ta quasi esclusivamente dalla segreteria di Fini e, in particolare, dall’ombra di Fini, Ri­ta Marino. I lettori del Giornale la ricorde­ranno per la tragicomica vicenda della ca­sa di Montecarlo finita al cognato di Fini, Giancarlo Tulliani (la donna, interrogata, visitò l’immobile assieme al tesoriere Do­nato Lamorte, trovandola – disse – così malridotta- sic! - da consigliarne la vendi­ta piuttosto che la ristrutturazione) e per al­cune intercettazioni dell’inchiesta su G8 e Grandi eventi che la citavano per alcuni re­gali e la beccavano mentre chiacchierava con l’imprenditore Francesco De Vito Pi­scicelli ( quello che rideva del terremoto in Abruzzo) a proposito di un appalto per i mondiali di nuoto del 2009.
Partono i primi accertamenti. La Procu­ra invia una asettica nota a Montecitorio nella quale chiede semplici informazioni sulla macchina. Roba normale, diciamo di routine,per un’indagine che molto pro­babilmente sarebbe morta di lì a poco: ora­ri di entrata e di uscita della vettura, fogli di servizio coi nomi dell’autista, chilometrag­gio, motivo dell’uscita. Alla Camera, però, a quella richiesta vanno in tilt. Iniziano a prendere tempo. Fanno melina. Ai pm ri­spondo a spizzichi e bocconi. Parlano di in­definite «autorizzazioni», in «varie occa­sioni », per «motivi di istituto». Spiegano poco e male.«Aria fritta,un comportamen­to singolare che poi diventerà sospetto», sintetizzerà un investigatore. Coi giorni, e con le settimane, il pressing diventa sem­pre più incalzante. Alle prime domande, ri­maste inevase, gli inquirenti iniziano a far­sene molte altre: perché un’auto,in uso al­la Camera dei deputati ( anzi nella disponi­bilità della segreteria particolare di Fini) invece di essere nei garage di Montecito­rio se ne va a spasso nelle campagne roma­ne? E perché a guidarla c’è un sovrinten­dente di polizia – tale Vincenzo S. – che a quanto apprende il Giornale è presenza fis­sa, stabile, negli uffici della segretaria Rita Marino? E perché la segreteria del Presi­dente, ripetutamente compulsata, ha col­laborato poco e male alle indagini? E qual è il ruolo dell’ispettorato di polizia della Ca­mera, lo stesso messo sotto accusa per la decisione di affittare le stanze dell’hotel a Orbetello, posto che un suo alto funziona­rio, per una cosa all’apparenza banale, ha sentito il bisogno di andare personalmen­te in Procura a Tivoli per chiedere chiari­menti? C’è altro dietro? Perché fare tanti problemi a dire chi, perché, per conto di chi, guidava quell’auto?
Stando a quanto risulta al Giornale , il procuratore De Ficchy, parecchio infasti­dito, a un certo punto prende in mano la si­tuazione e intima alla segreteria di Fini di dare tutti e subito i chiarimenti richiesti. Ottiene anche stavolta risposte non esau­stive. Insiste di nuovo, ma nel frattempo la pratica è passata a non meglio identificati uffici di sicurezza della Camera, che rela­zioneranno in modo vago anche loro. L’ispettore della pg di Tivoli sbatte ripetu­tamente contro un muro, da allora il telefo­no di Montecitorio squilla a vuoto. Eppure basterebbe un attimo per tirare fuori dai cassetti il regolamento sull’uso delle auto blu utilizzate dalla Camera e i nomi di chi ne beneficia e a quale titolo. Le autorizza­zioni sono fatte per essere mostrate, non nascoste.
Non vorremmo che al solo sentire evoca­re «Procura di Tivoli» e «Subiaco» l’entou­rage del presidente sia entrato in fibrilla­zione. Già perché in questo ufficio giudi­ziario si stanno ultimando le indagini sui fi­nanziamenti «caraibici» da 120mila euro a favore di un’associazione di Subiaco in qualche modo riconducibile a Checchino Proietti, originario di Subiaco, deputato di Fli, storico braccio destro di Fini; soldi che sarebbero stati versati dalla società Atlan­tis di Francesco Corallo, il re dei videopo­ker coinvolto nell’inchiesta sul chiacchie­rato maxi-finanziamento da 148 milioni di euro che ha portato in manette anche l’ex presidente di Bpm Massimo Ponzelli­ni. Nel ristorante di questo Corallo, sul­l’isola caraibica di St. Marteen, Fini cenò nel 2004 proprio assieme a Proietti, e sem­pre con Corallo lavora James Walfenzao che, nell’affaire della casa di Montecarlo, compare come dominus delle due società off-shore che acquistano l’immobile per 300mila euro e pochi spiccioli per poi fittar­lo al «cognato con la Ferrari» che nell’uffi­cio del dominus domiciliava pure le bollet­te.
Tutti uomini che portano al Presidente, più o meno. In realtà, le coincidenze non finiscono qui, perché a tirare in ballo Chec­chino Proietti (che smentisce di aver rice­vuto il denaro) nella storia dei finanzia­menti da Atlantis è Pierluigi Angelucci, ex sindaco di Subiaco. Il borgo di 9mila e di­spari anime dove vivono Vincenzo S., che di Proietti è stato l’ex autista,e anche qual­che agente che sta scortando Fini, in que­sti giorni, a Orbetello. Ovviamente, coinci­denze. Ma insistiamo. Se non c’è niente da nascondere perché la Camera non forni­sce ai pm di Tivoli ciò di cui hanno biso­gno? Perché queste omissioni? Nell’atte­sa di un riscontro finalmente celere e preci­so, in Procura sono pronti ad accelerare. Non è escluso che più di una persona pos­sa essere presto sentita a verbale come te­stimone, e che a forza di omissioni e reti­cenze si finisca per ipotizzare reati come il favoreggiamento, l’abuso d’ufficio e l’omissione d’atti d’ufficio.Dopo Orbetel­lo, ecco il secondo «segreto» di Fini. Per il terzo c’è Fatima.