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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

C i sono percorsi che sanno dare fiducia. Questo ha salvato un paese. Tre parole su un cartello: «Piccoli al centro»

C i sono percorsi che sanno dare fiducia. Questo ha salvato un paese. Tre parole su un cartello: «Piccoli al centro». E una strada in salita che porta a un cortile, a un prato, a una casa, a un campo scuola, a una mamma, a un nonno, al medico animatore, al farmacista gentile, al prete, al bottegaio, ai volontari che si dividono i compiti e lasciano una scia luminosa di esempi. Ziano, colline piacentine, era un paese per vecchi: aria buona, vino ancora meglio, ma i giovani scappavano via. Un giorno qui hanno rivoluzionato tutto: il tran tran, l’accettazione del declino, l’idea del malinconico rifugio per pensionati al bar. Hanno preso i bambini e attorno a loro hanno ricostruito il senso della comunità. Nei paesi di collina e di montagna i giovani sono un capitale: senza di loro mancano i numeri per l’asilo, diminuiscono gli alunni nelle scuole, svanisce ogni progetto di famiglia. Finisce anche la speranza di credere al futuro. Il dottor Flavio Della Croce ha 56 anni: quando è arrivato a Ziano era fresco di laurea e si è fatto su le maniche convincendo tutti che bisognava partire dai bambini, riempire il vuoto dei pomeriggi senza scuola, cancellare la noia che i ragazzi portano in giro fino alla deriva. Pensava a Barbiana, a don Milani, alla scuola di vita che fa crescere e insegna a stare dalla parte giusta, a don Giussani e alla sua sfida educativa, e giorno dopo giorno ha costruito un laboratorio in cui la parola «io» è stata sostituita con «noi». Un po’ di azionariato popolare, i primi cento tesserati, i volontari per il doposcuola, la squadretta di calcio, i tornei, i campi estivi e invernali, il tutoraggio delle vacanze, un grande e contagioso entusiasmo popolare: «Piccoli al centro» ha fermato l’emorragia di abitanti a Ziano. Se n’erano persi mille dal ’71 all’81; da quando c’è l’associazione il numero si è stabilizzato a quota 2.670. Negli anni Novanta c’è stato addirittura un baby boom. Oggi non va più via nessuno. «Non abbiamo fatto niente di straordinario», dice il dottor Della Croce tra una visita in ambulatorio e una corsa al Centro. «Siamo partiti da una filosofia molto semplice: ci siamo presi cura dei nostri ragazzi, abbiamo creato le condizioni per dare loro dei modelli positivi di riferimento, sacrificando un po’ del nostro tempo, rinunciando a qualche evasione. Ne valeva la pena: oggi alcuni di quei bambini sono diventati educatori e “Piccoli al centro” è una realtà che va avanti in automatico, alimentata dalle tante esperienze positive che la circondano. Se vogliamo vivere meglio dobbiamo rompere la spirale di individualismo che ci assedia, dedicare ai bambini tempo e attenzione. Non possiamo trasmettere i nostri valori solo a parole, dobbiamo ispirare i nostri figli anche attraverso il comportamento». Nell’Italia traballante dello spread e della politica che pensa sempre meno alla scuola e alle famiglie con genitori che lavorano, «Piccoli al centro» è una delle tante buone notizie da far conoscere, una storia di impegno collettivo che si può replicare ovunque: mostra come un’azione di solidarietà può diventare motore di buone pratiche. «Ciascuno di noi è chiamato a fare la sua parte, a domandarsi che cosa può fare per risolvere un problema», dice il medico fondatore. I messaggi che si diffondono con lo sport («Inteso come sfida, confronto con le proprie risorse per superare le difficoltà»); le sperimentazioni positive («Bisogna viverle per diventare portatori di speranza»); il volontariato civico («È commovente l’impegno di chi ormai non ha più i suoi figli al Centro e continua a dare il proprio aiuto»), non sono un’esclusiva del piccolo comune piacentino, ma qui hanno trovato una sintesi efficace nei ragazzi. «Tra gli adulti vedo troppo disfattismo. I bambini sono il futuro e hanno tanto da darci», puntualizza il medico che non vorrebbe apparire come protagonista («Nella mia duplice veste sono ingombrante per il paese»). Quando è nato «Piccoli al centro» qualcuno ha bofonchiato: ma i nostri figli al centro non lo sono già fin troppo? Dipende. «Noi li mettiamo in mezzo perché vogliamo dar loro un ruolo, farli sentire soggetti della società. Se i ragazzi vivono con la responsabilità imparano ad avere fiducia in sé. Se vivono con la lealtà e il rispetto, imparano a scoprire se stessi. E se le cose vanno bene per loro, vanno bene per tutti». A Ziano è andata bene. Nell’Italia del disfattismo, che non trova riferimenti e appare smarrita con i giovani, ci sono mille altre storie come questa. Aiutano a sperare e ci dicono che un ideale, se si vuole, si realizza. gschiavi@rcs.it