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 2012  agosto 15 Mercoledì calendario

«Le guide turistiche coprono i tiranni» – Lonely Planet e Rough Guides sotto accusa: criticano l’Occidente e relativizzano i regimi

«Le guide turistiche coprono i tiranni» – Lonely Planet e Rough Guides sotto accusa: criticano l’Occidente e relativizzano i regimi. Lo sostiene un saggio sulla rivista «Foreign Policy» che «pizzica» la Lonely Planet sulla Libia: troppo tenera con Gheddafi. La «Rough» su Cuba dà invece della paranoica alla dissidente Yoani Sanchez. Viaggiate da soli, passate frontiere, condividete pezzi di vita con sconosciuti e c’è chi vi accompagna. Lambite l’aura di dittatori, passate accanto a chi ne ha sperimentato l’efferatezza e qualcuno vi sussurra di non preoccuparvi. Ovvero: se anche non avete una mappa per orientarvi con la geografia, qualcuno ha tracciato per voi una mappa ideologica. Indulgente, accomodante. In altre parole: il libro che avete tra le mani, la vostra guida turistica, sta tentando di devitalizzare a vostra insaputa gli aspetti brutali del Paese che visitate. Sta giustificando il peggio. Non proprio con queste parole, ma quasi, un saggio pubblicato sull’ultimo numero di «Foreign Policy», rivista cofondata da Samuel Huntington, si avventa con furore demistificatorio contro le Lonely Planet (Lp, 100 milioni di copie nel 2010) e le Rough Guides (30 milioni in 25 anni). L’autore dell’intervento, Michael Moynihan, accusa questi compagni di viaggio cartacei di essere, appunto, di parte. Di trovare molto facile criticare l’Occidente e gli Usa per relativizzare regimi e dittature. «Leftist Planet» è il titolo, come a suggerire che certi baedeker sono essi stessi viaggi nei luoghi comuni del conformismo di sinistra. Tra liste di ostelli e mete imperdibili. Il campionario di citazioni è scelto con cura. La Lonely Planet sulla Libia, pubblicata prima della rivoluzione del 2011, edulcora Gheddafi e lo scagiona dall’attentato di Lockerbie: «Una delle teorie più credibili è che sia stato ordinato da Teheran come rappresaglia per l’abbattimento di un Airbus dell’Iran air da parte di una nave Usa». Iran dove, nella stessa collana, «forse anche lo stesso presidente Ahmadinejad» sarebbe disinteressato alla Bomba. Secondo la Rough Guide su Cuba — annota ancora «Foreign Policy» — la censura castrista avrebbe il pregio di «produrre contenuti socialmente validi, piacevolmente liberi da ogni significativa preoccupazione… per il successo commerciale». Quanto alla dissidente Yoani Sánchez, come altri oppositori rischia di apparire «paranoica e incattivita». E via biasimando. Moynihan ha passato in rassegna le guide a Cuba, Iran, Corea del Nord e Siria, cita Libia e Afghanistan. Indica una sorta di paradigma retorico comune: «Un riconoscimento pro forma di un deficit di democrazia e di libertà, seguito da esercizi di equivalenza morale, contorsionismi vari per contestualizzare autoritarismo e atrocità, infuocati attacchi alla politica estera americana». Infine, «l’ammirevole rifiuto della globalizzazione» e il solito «ritornello che l’arretratezza economica dovrebbe essere vista come autenticità culturale» (ma esistono vie di mezzo e, per fare un esempio, è innegabile che Angkor Wat nel 1994 fosse, a guerra civile non estinta, più autentico di adesso, con la Cambogia travolta dal turismo). Come tutte le provocazioni, l’esercizio non ha tutti i torti ma esagera le ragioni. Semplifica, forse un po’ troppo. Perché le collane di guide turistiche sono prodotti editoriali compositi, dove l’eterogeneità degli autori è insieme un punto di forza e di debolezza. Ma sull’Asia, l’area da dove partì l’avventura fricchettona dei coniugi Wheeler, le Lp (che la Bbc ha acquisito per 100 milioni di dollari) hanno decenni di rodaggio. E capita di leggere passaggi cautissimi, come questo sul Tibet: «C’è chi ritiene che l’opportunismo economico dei (cinesi) han stia distruggendo lo Shangri-la e chi, al contrario, pensa che i cinesi abbiano liberato milioni di schiavi tibetani dalla servitù feudale» (Cina, traduzione italiana Edt, 2007). Qui si arriva al caso Birmania, che almeno fino alla liberazione di Aung San Suu Kyi (novembre 2010), era meta di viaggio controversa, al punto che la Rough Guide — ricorda «Foreign Policy» — ritenne «sbagliato» pubblicare un volume sul Paese. Ebbene, il partito di Suu Kyi ha sempre visto con favore i viaggiatori, a patto che evitassero hotel e servizi che arricchissero la giunta e i tycoon. L’ultima edizione della Lp sulla Birmania disinnesca i puristi del boicottaggio mostrandosi accanita fin quasi alla stucchevolezza nell’indicare comportamenti moralmente accettabili e no. Dunque è vero — come afferma Moynihan — che una guida «tacitamente dà la sua approvazione al Paese che descrive», ma al contempo può fornire l’antidoto per una scelta consapevole. Consapevolezza. Qui forse sta il nocciolo di tutto, a dispetto del nostro polemista. Come se un turista che scelga Iran o Birmania, o addirittura Corea del Nord, affidasse la preparazione del viaggio solo alla guida. Come se la sua curiosità non fosse maturata attraverso altri libri ed eventi che ha seguito sui media. Perché se la curiosità non fosse lievitata nel tempo, allora anche il più acritico dei fervorini ideologici sarebbe il male minore. Piuttosto — dubbio perenne — la globalizzazione veramente insidiosa potrebbe non essere quella biasimata dalla goffaggine sinistrorsa di certi autori, ma scegliere gli stessi posti, seguendo gli stessi percorsi, leggendo le stesse pagine. Viaggiare sul già viaggiato non è viaggiare. Però, ahinoi, ci riguarda tutti.