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 2012  agosto 12 Domenica calendario

I tipi da spiaggia non esistono più (neppure gli scandali al sole) – La spiaggia — con le file ordinate di cabine, sdraio e ombrelloni, gli asciugamani stinti, i bagnini che pettinano la sabbia, le onde che lambiscono il bagnasciuga, la luce lattiginosa della calura — rappresenta la scena felliniana della nostra estate, una stagione dell’anno e della vita

I tipi da spiaggia non esistono più (neppure gli scandali al sole) – La spiaggia — con le file ordinate di cabine, sdraio e ombrelloni, gli asciugamani stinti, i bagnini che pettinano la sabbia, le onde che lambiscono il bagnasciuga, la luce lattiginosa della calura — rappresenta la scena felliniana della nostra estate, una stagione dell’anno e della vita. Proprio perché il fondale rimane immobile è possibile rievocare, con il gioco della memoria, il susseguirsi delle varie epoche, almeno quelle più recenti che si possono condividere con chi appartiene alla stessa generazione, magari sorseggiando un aperitivo corretto con un tocco di spritz , che fa tendenza. C’è bisogno di ravvivare l’atmosfera da quando i juke box sono diventati pezzi di modernariato, le radioline sostituite da intimistici iPod e i bambini sono diventati troppo pochi e troppo buoni. Eppure, per chi sa ascoltare, fluttuano ancora nell’aria le canzoni degli anni ’60, la mitica stagione delle vacanze al mare, quando la villeggiatura durava tre mesi e il rientro era carico di promesse. Una domenica della vita in cui tutto sembrava stupefacente: i bikini a quadretti alludevano al morbido broncio di Brigitte Bardot, i play boy indolenti suggerivano incontri malandrini, i ragazzi ballavano la sera al suono di «Una rotonda sul mare», «Guarda come dondolo», «Con le pinne, il fucile e gli occhiali…» e l’immortale «Azzurro» insinuava una nota di rimpianto per chi era rimasto in città. La villeggiatura era un privilegio, non un rito di massa. Mentre i flirt, sotto lo sguardo accorto delle madri, restavano più o meno innocenti, peccaminosi adulteri animavano febbrili conversazioni tra signore. Su quel palcoscenico i ruoli erano fissi: la bella, la racchia, il fusto, il secchione, la straniera, i ricchi, i poveri e, guardati con sufficienza, i nuovi ricchi di una società che stava vivendo, non senza ironia, l’euforia del miracolo economico. Ma non c’è bisogno di attardarsi in rievocazioni perché quell’epoca, felice e breve, è stata immortalata dal cinema e dalla letteratura sino a costituire un immaginario condiviso, sottratto per sempre all’oblio. I suoi protagonisti, gli adolescenti, erano però destinati, nel decennio successivo, ad abbandonare la scena balneare trasmigrando, come le rondini, verso altri lidi. Gli anni ’70, e il cinema ancora una volta ce lo ricorda, si caratterizzano per un esodo di massa. I ragazzi scoprono il mondo e, attratti dall’epica del viaggio on the road, dall’ebbrezza dell’avventura, dai rischi della cultura alternativa partono. Ammucchiati su utilitarie e pulmini sgangherati, gli immaginari «figli dei fiori» superano il provincialismo con una prova di formazione collettiva. Abbandonati i record «da casello a casello» si misurano sulle lunghe distanze. Le nuove mete sono i Paesi europei e poi il Marocco, gli Stati Uniti, il Sudamerica e infine l’India con la tentazione di ampliare, attraverso fughe psichedeliche, i confini dell’anima. Quando tornano sono cambiati e la spiaggia, con i suoi riti, non li coinvolgerà più. Finito l’incanto, le vacanze diventano, negli anni ’80, uno sfoggio di consumismo tecnologico (il motoscafo, la spider, la moto d’acqua) e gastronomico (l’aragosta alla catalana, le ostriche, le grigliate, i vini portoghesi), ingentilito dall’immancabile rucola. I decenni successivi vedono un progressivo spostamento dei «bagnanti» dal continente alle isole, dalla terra ferma alle crociere, dall’Italia all’estero con un infittirsi di trasporti che sottraggono tempo e interesse alla spiaggia. Solo l’invecchiamento e la crisi economica riporteranno gli ex giovani leoni alle località di famiglia. Nel frattempo però sono diventati nonni e la durata delle vacanze si è abbreviata per tutti, anche per chi potrebbe prendersela comoda. Le presenze, per tanti motivi, si sono diradate e contratte: il soggiorno costa, il sole fa male, il mare è inquinato, i cibi ingrassano e il gossip, concentrato sui vip, non promette «scandali al sole». Ogni pretesto è buono per una rapida fuga in città per cui gli incontri si riducono a frettolosi saluti tra chi arriva e chi parte. Le valige non si disfano più. Gli unici punti fermi sono i bambini mentre i genitori, intenti a presidiare il lavoro precario, fanno per lo più una scappata il fine settimana. I ragazzini, silenziosi, quasi furtivi, sostano all’ombra giocando a carte, al mare preferiscono la piscina, sdegnano il cocco fresco e bomboloni, si stanno appresso come fratelli: il «corteggio» non abita più qui. I discorsi tra adulti si concentrano sugli studi, sull’opportunità, anzi la necessità di mandarli all’estero. La fuga trasgressiva si è trasformata in trasferta concordata. Il futuro è altrove perché qui, come si legge su Facebook, non accade più niente. Qualche settimana fa i bagnini hanno scioperato rifiutandosi di aprire gli ombrelloni. Nessuno se n’è accorto. Regna una calma piatta, una atmosfera sospesa, uno stato d’animo oscillante tra paura e speranza. E in attesa che qualcosa cambi: «si sta/ come d’autunno/ sugli alberi/ le foglie» (Ungaretti).