Massimo Gaggi, Corriere della Sera 12/8/2012, 12 agosto 2012
Romney ha scelto: l’ultraliberale Ryan compagno di corsa – «Se ha fegato, Romney sceglie Ryan come suo vice
Romney ha scelto: l’ultraliberale Ryan compagno di corsa – «Se ha fegato, Romney sceglie Ryan come suo vice. E’ quello che ha le idee più lucide e coraggiose sulla spesa pubblica, le tasse, lo Stato "minimo", anche se non tutti sono ancora pronti per questo. Forse è un pò in anticipo sui tempi. Ma è Ryan l’uomo del futuro: è giovane, tra dieci anni sarà presidente». Me l’aveva detto in un’intervista di qualche settimana fa e ha avuto ragione lui: il presidente dell’American Enterprise Institute, Arthur Brooks, l’ideologo liberista del fronte conservatore. Che adesso, a scelta fatta, minimizza: nessuna profezia, bastava ragionare. «Alcuni dei nomi più gettonati - mi spiega - non stavano in piedi. Rubio è in gamba, ma chi dice che avrebbe portato l’elettorato ispanico non conosce i rapporti tesi tra i messicani e la gente arrivata da Cuba, l’isola della famiglia del senatore della Florida. Bob Portman è un politico eccellente, ma è stato il ministro del bilancio di Bush: avrebbe riportato alla Casa Bianca il fantasma di un presidente che nessuno rimpiange. Poi c’era Tim Pawlenty, forse troppo simile a Romney. Illuso e poi scartato nel 2008 da John Mc Cain». Il ragionamento di Brooks fila, ma rimane il fatto che, designando il 42enne «falco» delle politiche di bilancio come suo vicepresidente nel «ticket» repubblicano per la Casa Bianca, Romney ha fatto una scelta audace e rischiosa. Audace perché Ryan, che al Congresso presiede la commissione Bilancio della Camera, è un uomo dalle idee chiare: ha in mente un piano economico radicale che sostiene contro tutto e contro tutti. Un piano che non promette un facile ritorno al successo e a una leadership americana incontrastata con pochi sacrifici, come fanno molti politici: Ryan promette meno tasse ma vuole ridurre la spesa economica discrezionale dall’attuale 12,5 al 3,75 per cento del Pil da qui al 2050. Impossibile, dicono molti, anche a destra, visto che già la spesa militare non è comprimibile sotto il 3 per cento del reddito nazionale. Questo spiega perché quella di Ryan è anche una scelta rischiosa: quando, ad aprile dello scorso anno, il suo piano battezzato «Path to Prosperity» (la strada per la prosperità) arrivò in Parlamento lo sconcerto fu forte anche tra i repubblicani: privatizzazione della Social Security (le pensioni pubbliche) e smantellamento di Medicare, la sanità federale per gli anziani, sostituita da un sistema di «voucher» con un tetto di spesa. Fu uno «choc» anche per i suoi elettori; anziani arrabbiati e ritorni a fine settimana nel suo collegio in Wisconsin che, per un pò, per Paul furono un calvario. Ryan ha corretto più volte il tiro, ma ha comunque fatto mettere ai voti il suo piano antideficit: la prima volta non ha nemmeno passato l’esame della commissione, la seconda è stato approvato dalla Camera ma bocciato dal Senato dove hanno votato contro anche cinque repubblicani. Ma quando ieri mattina sul ponte della corazzata USS Wisconsin trasformata in museo nel porto-arsenale di Norfolk, in Virginia, Romney ha chiamato, con un lapsus, sul palcoscenico il «futuro presidente degli Stati Uniti, Paul Ryan», non si è solo caricato sulle spalle un rischio: ha rassicurato i «Tea Party» e la destra religiosa e fiscale che diffida del mormone ex governatore del Massachusetts, ma si fida ciecamente del parlamentare del Wisconsin, falco e cattolico. Mitt, poi, ora ha un’opportunità di conquistare questo Stato del Mid-West fin qui assegnato dai sondaggi a Obama, che qui nel 2008 vinse a man bassa, mentre ora ha un vantaggio esiguo. Certo, la ricetta di Ryan è difficile da digerire per quella parte d’America che, anche a destra, non è disposta a rinunciare a un minimo di «welfare» (critici pure i vescovi perché il suo piano non lascia molto per gli aiuti ai poveri). Ma l’imprenditore Romney aveva già tagliato i ponti col conservatorismo compassionevole (e moderatamente assistenzialista) di George Bush. Adesso prova con più determinazione a costruire una maggioranza attorno a una piattaforma per l’era post-welfare che sta arrivando un pò ovunque. I numeri per vincere, ad oggi, non dovrebbe averli, ma con la sua strategia può costringere Obama ad accentare la connotazione «interventista» del suo piano. E, come dimostra la battaglia combattuta qualche mese fa proprio in Wisconsin (il governatore Scott Walker, che ha tolto i diritti sindacali al pubblico impiego, sopravvissuto al referendum promosso da chi voleva cacciarlo), quando si va al muro contro muro, in America prevale l’ostilità all’intervento pubblico. Forse alla fine Romney perderà comunque. Ma meglio essere sconfitti su un progetto nitido anche se controverso con a fianco la faccia pulita di questo ragazzone del Mid-West con la moglie Janna, commercialista, e i tre marmocchi - la tipica foto da famiglia americana media - che perdere dopo una zuffa nel fango. Massimo Gaggi