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 2012  luglio 31 Martedì calendario

Per chi, come me, crede nel libero mercato questi sono tempi molto duri. Non passa settimana senza un nuovo scandalo

Per chi, come me, crede nel libero mercato questi sono tempi molto duri. Non passa settimana senza un nuovo scandalo. Tutto cominciò quattro anni fa, quando comprendemmo che le più potenti banche del pianeta non erano gestite così saggiamente come pensavamo. Come ha dichiarato nel 2008 l’ex presidente della Fed Alan Greenspan: «Chi tra di noi, e soprattutto io stesso, ha contato sull’interesse da parte degli istituti di credito di proteggere i diritti degli azionisti, si trova in uno stato di sbigottita incredulità». Sfortunatamente, non era che l’inizio. Poi venne la scoperta che le banche non solo avevano dei criteri eccessivamente generosi per concedere il credito, ma avevano anche riportato dati falsi o fraudolenti nei prestiti che avevano cartolarizzato. Per di più, alcuni stavano vendendo allo scoperto quei prestiti cartolarizzati proprio quando li stavano consigliando come investimento ai loro clienti. Quando venne il momento di pignorare le case, le banche dimostrarono un simile disprezzo delle norme etiche e legali, falsificando documenti e firme. Ciononostante raggiunsero facilmente un accordo extragiudiziale con un governo amico. Per dar fiato alla percezione diffusa che tutta la finanza sia manipolata arrivarono le condanne per insider trading, che non risparmiarono neppure i più alti livelli dell’industria delle consulenze. Tuttavia, la goccia che ha fatto traboccare il vaso è la manipolazione del London Interbank Offer Rate, meglio noto come Libor, il tasso a cui sono legati la maggior parte dei mutui a tasso variabile negli Usa e 350 trilioni di derivati. Come dimostra l’indagine di Barclays, non era un singolo episodio, ma anni di continua ed aperta collusione sotto gli occhi non troppo vigili della Federal Reserve, della Banca di Inghilterra e dell’Associazione dei Banchieri Britannici. «Dai ragazzi, abbiamo una grossa posizione in 3m libor per i prossimi tre giorni», legge una delle molte email. «Possiamo aggiustare il libor a 5.39 per i prossimi giorni? Sarebbe veramente utile. Non vogliamo aggiustarlo più di questo». Di fronte a questi scandali la reazione istintiva è di dar la colpa all’intero settore finanziario, cercando di regolarlo fino alla morte. Questa reazione naturale è aumentata dalla penosa crisi che stiamo vivendo. Anche se questa crisi ha cause più profonde, il settore finanziario ha certamente contribuito ad iniziarla e ad aumentarla. Questa reazione è ancora più forte in Italia, un paese che durante quest’ultimo anno, ha vissuto sotto la costante minaccia di un indicatore finanziario: lo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi. Il vizio di mettere in dubbio i nostri giudici non è una prerogativa del nostro ex presidente del Consiglio, è uno sport nazionale. La tentazione di accusarli, però diventa irresistibile quando il giudice - il mercato finanziario - risulta corrotto. Come possiamo tagliare pensioni e licenziare persone nel nome di uno spread, se c’è anche l’ombra del dubbio che questo spread possa essere manipolato? Tuttavia dobbiamo resistere a questa reazione istintiva. Innanzitutto perché una rivolta populista anti-finanza corre il rischio (anzi la certezza) di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Abbiamo bisogno di più, non di meno finanza per uscire dalla crisi. Ogni rivoluzione che manda alla ghigliottina i banchieri è costretta poco dopo a risuscitarli quando gli ingranaggi dell’economia si inceppano. La formula garantita per trasformare l’attuale crisi in una profonda e prolungata depressione è di cominciare un pogrom contro l’industria finanziaria. La seconda ragione per cui dobbiamo resistere questa reazione é che la soluzione della regolamentazione, che è incorporata in questa reazione istintiva, è spesso la causa del problema, invece che la soluzione. Il modo con cui i requisiti di capitale di Basilea sono stati disegnati sono una delle principali cause della crisi finanziaria americana e il peso pari a zero assegnato ai debiti sovrani da Basilea II è la principale causa della spirale tra insolvenza delle banche e degli stati sovrani che sta uccidendo l’euro. E coloro che dovrebbero regolare (la Fed e la Banca d’Inghilterra) non sembrano essere molto meglio dei regolati. Non da ultimo, perché i problemi italiani sono reali e ammazzare il messaggero non li elimina. Tuttavia, è ugualmente sbagliato ignorare questi segnali preoccupanti, accantonandoli come rare deviazioni di un sistema sano. Il capitalismo, che uscì vincitore dalla caduta del Muro di Berlino, è oggi in una profonda crisi che dobbiamo affrontare. La causa della crisi è l’eccesso di potere politico della finanza. L’aumentata concentrazione e la straordinaria profittabilità dell’industria finanziaria le ha permesso di catturare il processo politico. La percezione che le banche possano fare quello che vogliono è fondata nella realtà. Nessun banchiere è ancora finito in galera dopo la crisi e nessuno fin qui è stato incriminato per la manipolazione del Libor. Le cause multimiliardarie sono semplicemente trasferimenti da un gruppo di azionisti ad altri: i banchieri emergono intonsi, spesso con buonuscite milionarie. La soluzione è di introdurre un nuovo elemento nell’analisi antitrust: la dimensione politica. L’antitrust tradizionale compara i costi e i benefici economici di una fusione, ma ignora il potere addizionale che l’entità fusa avrà. Il costo delle distorsioni prodotte da questo aumentato potere politico devono essere considerate. Una volta che lo facciamo, molte fusioni appariranno come distruttrici di benessere, mentre molti break-up degli attuali giganti finanziari lo aumenteranno. Spezzare i mostri finanziari ha molti benefici. Primo, aumenta la competizione nel settore, riducendo il rischio di collusione e proteggendo i consumatori. Secondo, riduce il potere del settore nei confronti dei regolatori e della politica, rendendo più facile per i giudici punire le mele marce. Una volta che la legge verrà fatta rispettare, il senso di impunità svanirà e gli standard etici miglioreranno. Terzo, spezzare le banche più grandi ridurrà il problema del «troppo grande per fallire». Non da ultimo, banche più piccole competeranno nel fare quello che sanno fare meglio: prestiti. Sarebbe ora. Luigi Zingales