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 2012  agosto 16 Giovedì calendario

Romanzo Morante Sofisticata. Aristocratica. Ma popolare. A cent’anni dalla nascita è ora di dirlo chiaramente: l’autrice dell’isola di Arturo è il più grande scrittore italiano del Novecento Lo dico subito, così evitiamo di cincischiare: Elsa Morante è stata secondo me il più grande romanziere italiano del Novecento

Romanzo Morante Sofisticata. Aristocratica. Ma popolare. A cent’anni dalla nascita è ora di dirlo chiaramente: l’autrice dell’isola di Arturo è il più grande scrittore italiano del Novecento Lo dico subito, così evitiamo di cincischiare: Elsa Morante è stata secondo me il più grande romanziere italiano del Novecento. Uno scrittore dell’ampiezza e del respiro di Tolstoj, per intenderci. Insieme fuori e dentro la storia. Capace di combinare con meravigliosa maestria i registri alti dell’epica con quelli bassi del realismo, in tal modo elaborando una risposta – che è insieme nuova e classicissima- alla crisi del romanzo e delle sue strutture, e ridisegnando e ricollocando la vecchia questione di contenuto e forma. Morante è, da questo punto di vista, di una modernità assoluta: perché, detto in soldoni, sa essere sofisticatissima, eccentrica, aristocratica nello stile quanto popolare e godibile nella costruzione del plot romanzesco. Ricorre il primo centenario della nascita della scrittrice romana. Non dirò di preciso la data in ossequio a un suo preciso desiderio: «Il primo favore che devo chiedere ai miei biografi… è di non citare la mia data di nascita. Non perché io preferisca, per me, un’età, invece di un’altra; ma perché, invece, a me piacerebbe di essere senza età», dice un appunto di un suo quaderno. Del resto, per lei, sempre a seguire quel suo appunto, le persone non si giudicano per ragioni anagrafiche o sociali o morali «ma secondo la simpatia». Ora, ammettiamo che in prospettiva lo scrittore Elsa Morante (detestava che si usassero i femminili scrittrice, narratrice o, peggio, poetessa) possa destare oggi molta simpatia (forse più di quanto ne destasse in vita, a giudicare dalle leggende sul cattivo carattere), magari per via della sua originalità, o per l’amore incondizionato verso i gatti, o anche perché aveva gusti musicali imprevedibili (e infatti Pier Paolo Pasolini le fece scegliere quasi tutte le musiche dei suoi film), o infine perché aveva della sessualità un’idea tutt’altro che schematica: simpatia a parte, però, a un secolo dalla nascita, i conti con l’opera di Elsa Morante non sono mica stati fatti. E i pensierini che ho inanellato nell’incipit di questo articolo non sono, a tutt’oggi, per quanto la cosa possa suonare sorprendente, affatto scontati e ovvi, se ci si prende la briga di andare a vedere che cosa la nostra critica letteraria è stata capace di scrivere in proposito. Intendiamoci. Elsa Morante è stata un autore di straordinario successo. Il suo primo romanzo, che, nell’Italia dell’aurorale neorealismo, è una specie di meteorite arrivato da un’altra galassia tanto è sontuoso e rabdomantico, si intitola “Menzogna e sortilegio”, esce nel 1948 e vince subito il Premio Viareggio. Morante è sposata dal 1941 con Alberto Moravia (i due non divorzieranno mai) e, superate le difficoltà della prima giovinezza e poi del tempo di guerra, vive piuttosto agiatamente. Al romanzo d’esordio, nel 1957 segue “L’isola di Arturo” che si assicura il premio Strega. Nel 1974 esce “La Storia”- che ha un immenso successo di pubblico e infine, nel 1982, tre anni prima della scomparsa, vede la luce l’ultimo e misterioso romanzo: “Aracoeli”. E anche in questo caso, molta attenzione, molto spazio mediatico e critico. Quello che voglio dire, in estrema si, è che la carriera di scrittore di Elsa Morante è, all’apparenza, tutt’altro che sfortunata o inattuale o, se volete, postuma. I suoi libri vedono la luce e paiono subito accolti con passione e generosità. Si può anzi aggiungere che, dopo i primi due romanzi, a cui nel frattempo è seguito nel 1968 quel libro inclassificabile e seducente che è “Il mondo salvato dai ragazzini”, intorno all’autore si crea addirittura una specie di fan club un po’ canino e ossessivo. Morante diviene una specie di guru per una generazione di giovani intellettuali, i quali tendono, si direbbe, a idolatrarla feticisticamente. Ma sotto a questa superficie si cela una verità che mi pare il caso di affrontare, in questo centenario e ormai a più di venticinque anni dalla morte (25 novembre 1985) dell’autore. Se non altro, per poter leggere e rileggere la sua produzione senza pregiudizi di nessun genere. E la verità è questa: soprattutto per quel che riguarda “La Storia” e “Aracoeli”, la critica letteraria italiana del tempo non ha capito un accidente. Andate a riguardare la messe di recensioni che uscì alla pubblicazione di quei due libri. Anni di grazia: 1974 e 1982. Non due secoli fa. Sulla “Storia” (che uscì direttamente in tascabile per precisa volontà di Morante) si scatenò un dibattito ideologico al limite del delirio. Il romanzo venne scambiato per un saggio programmatico e come tale analizzato. Pochi i lettori privi di paraocchi ideologici: fra loro,Natalia Ginzburg, Cesare Garboli, Lorenzo Mondo. Tutti gli altri non trovarono di meglio che chiedersi più o meno se la visione della Storia che emergeva dalle pagine del romanzo fosse o non fosse marxista, e in che grado e misura. Personaggi, luoghi, strutture del testo vennero letti sub specie politicae. Nessuno provò a leggerne costruzione e disegno in una chiave che superasse le vicende italiane: cercando di comprendere, per esempio, quanto Morante avesse rielaborato in chiave propria l’epica tolstoiana di “Guerra e pace” o la visione tutta romanzesca della George Eliot di “Middlemarch”,o ancora l’oltranza gotica di Ann Radcliffe. L’unica cosa che in un certo senso desta nostalgia è che, a fronte di un successo di vendite strepitoso e di fronte a un autore già considerato importante e influente, la discussione si sviluppò con una certa libertà: segno che, almeno sotto questo profilo, intellettuali e media del tempo non soggiacevano allo spiccato conformismo odierno. Ve li immaginate oggi i nostri critici letterari discutere con molta franchezza – ancorché ideologica – del romanzo di Piperno fresco vincitore del Premio Strega o dei libri best seller di Carofiglio? Ancora peggio andò con “Aracoeli”, romanzo difficile, perfino misterioso, le cui ascendenze risalgono a mio avviso a Sade e sono in postuma consonanza con l’ultimo Pasolini. Quel testo complesso e a tratti ostico, che mette in campo un sapere narrativo quasi magico e che a tutt’oggi mi pare una delle opere più affascinanti del secolo scorso, fu letto dal nostro establishment critico con occhiali così modesti, così rozzi da muovere allo sgomento. Si affastellarono considerazioni psicoanalitiche di nessun interesse con banalità cristianeggianti. Soprattutto alcuni reduci del Gruppo 63 si esibirono nelle loro tiritere ridicole sull’inutilità e impossibilità della forma-romanzo, salvo di lì a poco avallarne le derivazioni più corrive e di consumo. Direi che solo Franco Fortini e, di nuovo, Cesare Garboli seppero leggere quel testo di abbagliante e oscura bellezza per quello che era: un’opera imperfetta, una specie di allucinazione il cui senso si ricompone solo a lettura finita, ex post, e al cui cuore è «l’opposizione del piacere alla maternità e alla fecondità» (parole di Garboli). Non ho conosciuto personalmente Elsa Morante. Nella mia vita l’ho incontrata tante volte nelle parole di amici e persone amate che l’hanno frequentata per ragioni anche molto diverse: Moravia, l’editore di tutti i suoi libri Giulio Einaudi, Elena De Angeli che è stata sua e mia editor impareggiabile, Ginevra Bompiani, altri. A sentire i loro racconti, non credo che avrei sopportato il suo carattere tirannico, per quanto la sua personalità potesse essere ammaliante. Lei del resto – lo annota negli appunti che ho già citato – voleva essere ricordata come scrittore: da questo punto di vista, l’ho detto in apertura, non ho alcun dubbio. Elsa Morante è stata il più grande scrittore italiano del Ventesimo secolo. Ma aggiungerei in conclusione che è uno scandalo che, a parte la Francia e la Germania, sia nel resto del mondo quasi del tutto dimenticata. * * * Omaggio a Elsa di Enzo Golino Fondata da Alberto Carocci e Alberto Moravia nel 1953, straordinario esempio di durata tra le riviste letterarie non accademiche, oggi direttore responsabile Dacia Maraini, coordinamento di Carlo Carabba, “Nuovi Argomenti” ha dedicato tempestivamente il numero 57 (gennaio-marzo 2012, Mondadori, pp. 215, euro 14) a Elsa Morante per ricordare il centenario della sua nascita (Roma, 18 agosto 1912). Cinque scrittrici raccontano il loro rapporto con l’autrice dell’“lsola di Arturo”, scomparsa a Roma il 25 novembre 1985 e mai incontrata di persona. Sìlvia Avallone (Biella 1984) ricorda quanto fosse infastidita dal generico concetto di «scrittrici come di una categoria a parte» che «risente ancora della società degli harem» e riflette sulle caratteristiche delle donne morantiane, in primo luogo madri. Silvia Colangeli (Cesena 1977) rilegge il “Diario 1938” quasi immergendosi in un processo di identificazione personale. Elena Stancanelli (Firenze 1965) si dedica ai protagonisti di quel libro strano che è “Il mondo salvato dai ragazzini”. Carola Susani (Marostica 1965) affronta l’innocenza e la colpa, pilastri ispirativi di “La Storia”. Chiara Valerio (Scauri 1978) spiega le sue reazioni contraddittorie nei confronti di “Aracoeli”. Le loro valutazioni hanno una forte impronta emotiva e generazionale, affascinate da una personalità fuori dal comune: riguardano valori estetici, parametri intellettuali, i sentimenti che ancora oggi influenzano i suoi lettori, il ruolo di Cesare Garboli, massimo critico di riferimento per l’opera morantiana. Si aggiungono a questa sezione un racconto dedicato a Elsa di una giovanissima narratrice che ha scelto lo pseudonimo Vivi Marlene, e un saggio dello psicoanalista Vittorio Lingiardi su «scene madri» da “Aracoeli” a “Volver” (il film di Pedro Almodóvar). Un volume appena uscito, privo di prezzo e distribuzione, in copertina gli stemmi di due comuni aquilani, Castel di Ieri e Rocca di Mezzo, circola in misura limitatissima, pubblica documenti cartacei e fotografici, s’intitola “Castel di Ieri: la famiglia Morante”, prefazione di Renzo Paris. L’autore è Maurilio Di Giangregorio, un ingegnere chimico del luogo appassionato di ricerche storiche. In appendice una biografia di Elsa Morante compilata dall’architetto Massimo lannuccelli. * * * Poker d’assi Quattro romanzi, tre libri di racconti, un libro per bambini illustrato dall’autrice e un volume in versi che ora Goffredo Fofi definisce «il suo “romanzo” più complesso e insieme più chiaro»: l’opera di Elsa Morante (1912-1985), gli scritti di una vita, che hanno avuto e continuano ad avere grandissima influenza su scrittori e pubblico, sono condensati in una manciata di titoli. Anche la sua vita, in fondo sta in una manciata di righe: la nascita a Roma il 18 agosto 1912, la vocazione alla scrittura scoperta già da bambina, i primi scritti su “Oggi” e sul “Corriere dei piccoli”. E poi l’ingresso nel mondo letterario sancito nel 1941 dal matrimonio con Moravia, durato vent’anni. La malattia dopo una caduta, nell’82, e nell’85 la morte che però non ne ferma l’opera: molti suoi scritti sono stati pubblicati postumi. II centenario della nascita è un’occasione per riscoprire tutti i suoi libri: da “Menzogna e sortilegio” ad “Aracoeli” passando per “L’isola di Arturo” e “La storia” ma anche “Le bellissime avventure di Cateri dalla trecciolina” e “Il mondo salvato dai ragazzini”. Senza dimenticare i saggi di “Pro o contro la bomba atomica e altri scritti”, dove si spazia dalla politica all’arte, dall’erotismo letterario al Beato Angelico. Aspettando che, a metà ottobre, Einaudi mandi in libreria “L’amata. Lettere di e a Elsa Morante», un volume curato dal nipote Daniele che raccoglie i più importanti carteggi della scrittrice: da quelli con il marito Alberto Moravia a quelli con Giacomo Debenedetti e Pier Paolo Pasolini, ma anche le lettere private, che raccontano amori e amicizie della scrittrice romana. A.C.P.