Maurizio Porro, Corriere della Sera 15/8/2012, 15 agosto 2012
Quindicesimo Fellini, tra i magnifici Roma e Casanova, Amarcord è sicuramente il titolo che il pubblico più ha amato e apprezzato del maestro riminese, più della Dolce vita, col suo internazionale clamore
Quindicesimo Fellini, tra i magnifici Roma e Casanova, Amarcord è sicuramente il titolo che il pubblico più ha amato e apprezzato del maestro riminese, più della Dolce vita, col suo internazionale clamore. Ma se le avventure sessuali di Marcello erano lontane, il passeggio sotto i portici, la nebbia, il transatlantico dell’illusione, le tette della tabaccaia, la Gradisca, lo sceicco e l’harem sono momenti di vita condivisibili da tutti, proiezioni di sogni nel Mi ricordo romagnolo del titolo, con possibilità di fantasticare, tornando sul luogo dei Vitelloni. È lo schizzo magistrale di un disegnatore non sempre ottimista sull’Italietta di provincia Anni 30 che corrisponde ai suoi dati anagrafici e ha le caratteristiche migliori della sua poetica. Ma non solo il fanciullino pascoliano che guarda il pavone fare la ruota, anche un piglio decisamente anche se ironicamente politico nella parte satirica sociale sul fascismo, nel tono e nello sguardo consapevole dell’intera storia scritta con Tonino Guerra. Voltandosi indietro senza rabbia ma con un sentimento complesso che sposa nostalgie al giudizio su un’epoca mediocre fino alla finale, intensa e ventosa malinconia. Amarcord è diventato dal ’73, quando si andava al cinema a piedi per la crisi del petrolio, ad oggi, il film che tutti citano per episodi dando le preferenze: lo zio matto (un sublime Ingrassia), l’harem, lo sfolgorante passaggio del Rex ricostruito come tutto nello studio 5 di Cinecittà, il nonno che si perde nella nebbia, la galleria del Fulgor coi poster dei divi, le scenate familiari con Pupella Maggio che minaccia la stricnina nella minestra, il ritmo di vita e stagioni. Poetico ma non retorico, affettuoso ma non acritico, spinto dalle musiche di Rota, centrato sul giovane Titta, amico storico del regista, in calzoncini corti (Bruno Zanin). Tutto ricostruito e quindi reale per il cinema, il film incassò in Italia 2 miliardi e mezzo, girò il mondo, vinse l’Oscar e ancora oggi ha un posto di riguardo nella memoria di ciascuno. Cast variopinto come piaceva a san Federico: un Orfei, Alvaro Vitali prossimo Pierino e Magali Noël (foto) che fu svegliata di notte per partire subito, essere il mattino a Cinecittà, non sapendo nulla: ma fece bene ad accettare.