Roberto Giardina, Italia Oggi 14/8/2012, 14 agosto 2012
LA CATTIVA FAMA DEI CENTAURI ITALIANI
Un giudice di pace a Roma ha deciso che i motociclisti possono fare quello che vogliono. Tutti, chi guida un’Harley o una Vespa, come Gregory Peck in Vacanze romane, una Ducati tradita da Valentino Rossi o un semplice motociclo, invadendo le piste riservate ai mezzi pubblici non compiono nulla di male, non vanno multati, caso mai lodati perché rendono il traffico più veloce, e inquinano di meno delle auto.
Un verbale consegnato a domicilio, perché a causa del traffico non era stato possibile fermare il presunto colpevole, è stato annullato dato che le moto «non intralciano il traffico». Sono queste le notizie che giungono dall’Italia che lasciano interdetti i tedeschi. Non si sorprendono, ormai sono assuefatti, e non si scandalizzano. Si chiedono però che paese siamo, e come si possano fidare di noi. Loro saranno antiquati, ma ritengono che se c’è una legge va rispettata.
Per cogliere la differenza tra Italia e Germania, basta osservare il diverso comportamento ai semafori: i motociclisti teutonici al rosso si fermano dove si trovano, in coda dietro le auto. Non le superano per piazzarsi in prima fila. È vietato dal codice, qui e in teoria, almeno credo, anche a Roma o a Milano. Se cercano di conquistare la pole position con uno slalom tra le vetture rischiano una multa salata. Comunque, pochissimi si azzardano. Quando l’ho raccontato a un mio amico romano, mi ha risposto: «Allora che gusto c’è a guidare una moto?». Potrebbe trovare la risposta in una vecchia ricerca della Continental, fabbrica di pneumatici. Nel controllare la velocità di reazione ai semafori, quando si torna al verde, gli italiani si classificarono all’ultimo posto. Volevo scrivere qualcosa al riguardo, ma non convinsi il capo degli esteri: «È impossibile», sentenziò, «i crucchi barano. I più veloci siamo noi». Era un conterraneo di Ferrari, e quindi sicuro che gli italiani, nessuno escluso, avessero i riflessi fulminei di un campione di Formula Uno.
Potrebbe essere vero, ma i ricercatori spiegavano anche il perché fossimo i più lenti: in prima fila si trova sempre un nugolo di moto, vespe e simili, e i loro guidatori avanzano un po’ alla volta e finiscono per superare il semaforo. Quando scatta il verde, non se ne accorgono, dietro le auto strombazzano, e per ripartire infine i motociclisti con il piede a terra sono più lenti. Traffico più difficoltoso, più rumoroso, più inquinante, al contrario di quanto ritiene il giudice trasteverino (posso osare pensare che sia un motociclista?). E anche traffico più pericoloso. Per i motociclisti.
In base alle statistiche, il record europeo, forse mondiale, di incidenti mortali per gli emuli di Valentino, è detenuto dall’Italia. L’anno scorso sono deceduti in 1.440 su 4.731 decessi. In Germania meno della metà: 635, su 4.009, nonostante i tedeschi siano più di noi (82 milioni). E l’Adac, che sarebbe l’Automobil Club, ritiene che siano sempre troppi: negli ultimi vent’anni, le vittime delle strada sono diminuite del 70%, ma le vittime in moto «solo» del 40%. In Italia muore un motociclista ogni sei ore, la percentuale è del 29% sul totale delle vittime della strada, mentre la media europea è del 22%.
Il massacro è provocato certamente anche in parte dallo stato delle strade. Berlino non vanta le buche di Roma. I motociclisti azzurri accusano gli automobilisti di aver poco rispetto per loro. Io, da guidatore «straniero», quando torno in patria, penso che sia colpa dei motociclisti. Non sempre, ma spesso.
L’abitudine allo slalom, autorizzato dal giudice, li spinge a praticarlo a ben altra velocità anche in autostrada, dove sfrecciano sulla corsia d’emergenza. Tagliano la strada, piombando da sinistra, dall’angolo morto, invisibili e velocissimi. Forse qualche multa, e un giudice prussiano, salverebbe a molti la vita. Ultimo dato: la metà degli incidenti mortali in cui sono coinvolti motociclisti avviene nelle aree urbane, quelle più sicure, e dove i centauri non causerebbero intralcio al traffico.