Bruno Gambarotta, la Stampa 14/8/2012, 14 agosto 2012
LA MEGALOMANIA DI CARLO ANTONELLI PER LA SUA MOLE
Caro Antonelli, adesso ce lo può confessare, a 150 anni esatti dall’approvazione del progetto della Mole, quel 14 agosto 1862. Lei aveva in mente una ben diversa altezza per quell’edificio a pianta quadrata sormontato da una cupola.
Ma andiamo con ordine. La storia inizia con Carlo Alberto, un grande re nonostante tutto, che nel 1848 emancipa gli ebrei dall’obbligo di risiedere nel ghetto. Undici anni dopo la comunità israelitica delibera la costruzione di una nuova sinagoga. Su un terreno ben misero, un trapezio di 45 metri sulla via, 56,50 sul retro e profondo 43 metri. Il tempio doveva sorgere sopra i locali per l’amministrazione, le scuole e i servizi. Al concorso del 1862 nessun progetto risponde ai requisiti e la comunità si rivolge a lei, abituato ad accettare sfide; progetta una sinagoga a pianta quadrata di 38 metri di lato sormontata da una cupola. Come quell’altro genio di Gioacchino Rossini, anche lei fa taglia e cuci, utilizzando il suo disegno della cupola progettata per la nuova sede del parlamento italiano mai realizzata. Come hanno fatto quei saggi e prudenti israeliti a pensare che lei sarebbe stato fedele al progetto di quel 14 agosto di 150 anni fa?
Va bene che lei aveva già 64 anni, essendo nato a Ghemme nel 1798, ma bastava chiedere le sue referenze, come si fa con le collaboratrici famigliari. Informarsi a Novara sui decenni impiegati per completare la cupola di San Gaudenzio, iniziata nel 1840. Meglio ancora, fare una gita a Castellamonte. Gli abitanti di quella località celebre per la ceramica, si erano rivolti a lei nel 1842 per rimettere a posto la chiesa parrocchiale che cadeva a pezzi. Lei li aveva convinti, come prima mossa, a spianare la vecchia chiesa, per evitare ripensamenti. Poi aveva avviato il progetto per un edificio immenso, sormontato da una cupola che sarebbe risultata di un metro più alta del Pantheon, sorretta da 18 colonne corinzie di due metri di diametro, capace di ospitare seimila fedeli, il doppio degli abitanti di Castellamonte.
Di questa impresa interrotta è rimasta la suggestiva rotonda Antonelliana composta dalle mura perimetrali. La verità è che lei, caro Antonelli, come tutti i grandi visionari, è anche un incantatore di serpenti. Dica la verità: quando ha saputo che a Parigi un certo ingegner Eiffel stava progettando la «Tour des trois cent mètres» per l’Esposizione del 1889? Quando ha deciso di sfidarlo per l’edificio più alto d’Europa? Possiamo immaginare le riunioni con i committenti sempre più disorientati dalle dimensioni della sinagoga, mentre lei illustra i nuovi progetti già pensando in cuor suo a come migliorarli, da infaticabile sperimentatore di nuovi materiali e nuove tecniche. Scrive Franco Rosso: «Per Antonelli la verifica sperimentale non è la base del progetto; ne è piuttosto il coronamento. E la costruzione si configura come un’operazione rischiosa e azzardata, sul cui successo non c’è alcuna certezza. Tranne la fiducia illimitata nel potere della tecnica».
Già in corso d’opera la grande fabbrica ha un comportamento ostile che si manifesta in estese fessurazioni che richiedono lavori di rinforzo e di ingabbiamento. Ma lei non si arrende mai. Chi getta la spugna è la comunità israelitica, per esaurimento dei fondi e per il timore delle reazioni che la sinagoga più grande d’Italia e più alta d’Europa potrebbe suscitare.
È il 1869. Scrive di lei il presidente del consiglio d’amministrazione dell’università israelitica: «Divorato dalla smania di accoppiare il suo nome a un monumento di singolare maestria e di forma anche più singolare, faceva lentamente e quasi di soppiatto elevare un terzo ordine nei piani della costruzione col concetto di portare la parte superiore ad una smisurata altezza, da 47 metri a 112,03». Il cantiere si ferma quando mancano solo 9 metri al culmine. E starà fermo 9 anni, fino al 1878.
Non a tutti piace la Mole: è singolare che Edmondo De Amicis non la nomini mai nel suo «Cuore», pubblicato nel 1886 ma ambientato nell’anno scolastico 1881/82. Corre voce che don Giovanni Bosco, in spregio agli ebrei, abbia avanzato una proposta d’acquisto. Finalmente il consiglio comunale di Torino, di cui lei ha fatto parte per 35 anni, decide di comprare il cantiere e di completare l’edificio. Con il consiglio comunale si ripetono le scene consuete: lei presenta le sue proposte, per la lanterna a due piani, per la piramide ottagonale della cuspide, incanta i consiglieri che finiscono per approvare tutto, salvo poi nell’esecuzione introdurre nuove e più ardite modifiche. L’edificio supera indenne il test del violento terremoto nel febbraio 1887, a scorno dei tanti che ne avevano decretato l’instabilità.
Nell’ultima riunione, del febbraio 1888, lei farà approvare il progetto di issare il genio alato altissimo, che sarà messo in sito il 10 aprile 1889, sei mesi dopo che lei, caro Antonelli, avrà lasciato all’età di 90 anni, questa valle di lacrime, portando la Mole all’altezza di metri 163,35. Ci penserà suo figlio Costanzo a completare l’opera. Nessun edificio di Torino potrà eguagliare o superare l’altezza della Mole; Renzo Piano per il suo grattacielo del San Paolo in costruzione ha dovuto fermarsi un metro più in giù. Per quello che riguarda l’altro grattacielo in progetto, quello della Regione, per fortuna ci ha pensato la crisi a soffocarlo nella culla.
Caro Antonelli, la sua Mole, progettata per essere una sinagoga e rimasta per tanti anni un chiesa senza un culto, da 10 anni l’ha trovato nella religione del nostro tempo, il Cinema. Prima di entrare al Museo, cerco di immaginare una carrucola che viaggia fra una casa di via Montebello e la cima della Mole. Trasporta una cesta di vimini e dentro c’è lei, quasi novantenne, che ha inventato quel modo per controllare di persona il cantiere, in ossequio al precetto del lavoro ben fatto. Avercene, nel nostro tempo avaro, di visionari, di sperimentatori e incantatori di serpenti come lei.