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 2012  agosto 14 Martedì calendario

L’ETERNO RITORNO DEL FERRAGOSTO AMARO 15 AGOSTO 1989

Eccola la ragguardevole novità della stagione: «C’è poi, rispetto ad anni fa, diminuzione nel traffico, gli affollamenti e le congestioni sono minori; e anche questa è notizia, come se il boom del turismo cominciasse a declinare». È l’articolo di fondo che Vittorio Gorresio scrisse per La Stampa del 15 agosto 1980. Gli italiani, che pure villeggiavano abbondantemente, si istruivano sugli sviluppi della strage di Bologna di due settimane prima, e nonostante i giudici dicessero che «la rete si stringe», s’era colta una mutazione, una prima allergia alle discese in piazza in orrore dello spargimento di sangue: questo stringersi alle istituzioni per inscenare contro il terrorismo la compattezza della falange era venuto a noia, se non altro per sfiducia, e in piazza Maggiore erano svolazzati i primi poderosi fischi contro l’autorità costituita. E quel volpone di Sandro Pertini, il capo dello Stato, dimostrò di maneggiare l’antipolitica come i maestri di oggi: «Non a caso ho preferito staccarmi dagli altri... Il mio istinto mi ha portato a violare il protocollo per far capire da che parte stavo: dalla parte della gente...».

E dunque il Ferragosto (e la serietà dei partiti e dei loro capoccia) non è più quello di una volta da un sacco di tempo. «E’ Ferragosto, ma uno su due rimane in città», titolava La Stampa nel 1996. Ecco come stavano le cose: «Addio deserto metropolitano. Nel cuore dell’estate la città piace: vuoi la scarsità di denaro, vuoi le vacanze sempre più scaglionate...». C’era scarsità di denaro. C’è sempre scarsità di denaro. La crisi è la nostra ombra di spiaggia. Il decesso della beata spensieratezza venne certificato nel 1989 da Carlo Fruttero e Franco Lucentini: il pensiero intontito del vacanziere restava concentrato «sul filo del suo orizzonte mentale: è la manovra Economica, sinistro vascello che ogni estate viene immancabilmente a incrociare al largo delle nostre vacanze». Si era appena scovato un nuovo buco da diecimila miliardi di lire e del resto le agenzie di rating non sono l’invenzione aliena di questi tempi: nel 1992, Moody’s ci declassò ad AA3 e, poiché era sabato, ci si chiedeva coi polsi tremolanti come avrebbero retto i mercati alla riapertura del lunedì (e le cose an-

Paolo Mieli firma l’editoriale dal titolo «Tiro al “corvo” e la mafia ride» sui misteri e le faide di Palermo. L’apertura sulla Polonia. darono benone). Tuttavia per Bettino Craxi si stava sottovalutando «la difficoltà della situazione economica».

Infatti quasi ogni estate siamo alle prese con una emergenza da portafoglio. E sebbene le ferie della prima Repubblica fossero coccolate dal pacioso espediente del governo balneare, col quale si arrivava in panciolle alle elezioni d’autunno, c’era sempre un caso o quell’altro che imponeva la quasi regolare eccezione. Nel 1982, l’attuale direttore di Repubblica, Ezio Mauro, scriveva in prima sulla Stampa del riposo mutilato di Giovanni Spadolini: «Questa sera, quando rientrerà da una brevissima pausa di Ferragosto in Toscana (nemmeno una giornata), avrà una serie di incontri tecnici, in attesa di convocare le parti sociali»; e mica era soltanto suo il fardello, ma di tutti i leader: «Poi, il confronto decisivo con i partiti, per tirare le somme di un programma incentrato soprattutto sull’emergenza economica». Tenetevi, se potete: Spadolini la chiamava una «manovra di rigore e di risanamento»; e ora sedetevi, perché il presidente del Consiglio aveva appena steso dieci punti chiave nella riforma delle istituzioni e dei regolamenti parlamentari «per dare maggiore efficienza all’azione di governo». Capito come sono volati trent’anni? Comunque, si diceva, un allarme recessione di qui, una grana internazionale di là, una volta premier Andreotti, una volta vicepremier Gianni Letta, c’è ad ogni Ferragosto un drappello di forzati della scrivania; e basta ricordare il 2011, quando non si faceva in tempo a prenotare l’ombrellone che c’era da compilare una nuova finanziaria.

Quanto a noi, un anno avevamo il Ferragosto amaro per l’aumento del gasolio, l’anno dopo il Ferragosto amaro per l’aumento della super, tutti i Ferragosti amari per i risultati della Goletta Verde che preleva acque e le scopre cattive da epoche immemorabili. Ora, non si vuole intendere che qui è proprio tutto congelato da lustri e decenni. E’ che i ricorsi sono una goduria: nel Ferragosto del 1993, in centosettanta penitenziari italiani si indisse sciopero della fame per protestare contro l’«eccessivo affollamento»; nel Ferragosto del 1995, si seppe che venivano scovati otto evasori fiscali ogni dieci controlli; nel Ferragosto del 1990, un ex sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, si proclamava «il nuovo»; e l’ora di religione, se fosse obbligatoria o facoltativa, scosse il torpore del Ferragosto 1987. Intanto però il mondo ci girava attorno, fornendo materiale per la lettura da sdraio. «Cinque navi italiane verso il Golfo», titolò La Stampa del 15 agosto 1990, e si parlava della prima guerra a Saddam Hussein. Nel 1991 gli albanesi sbarcarono a migliaia in Puglia mentre il presidente Francesco Cossiga litigava con tutti perché intendeva concedere la grazia a Renato Curcio. Nel 1993 venne il sanguinoso Ferragosto di Sarajevo. L’anno prima un non del tutto tempestivo Giuliano Amato si interrogava sull’onestà dei partiti: Mani Pulite era cominciata da sei mesi. Nel 1989 ci intrattenne il corvo di Palermo, che spediva lettere anonime per accusare Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro per la gestione dei pentiti di mafia; nel 2000 toccò al disastro del Kursk, il sottomarino russo in cui morirono centoventi uomini; nel 2008 l’Europa andò in recessione e, in un’intervista alla Stampa, il ministro Maurizio Sacconi spiegò: «Inutile battere cassa per misure anticrisi, il governo è al verde». Un tempo ci si consolava con la schedina: una settimana dopo Ferragosto partivano i concorsi abbinati alla Coppa Italia. Poi si è titolato sui Gratta e vinci. Certe dolcezze erano i nuovi gelati al sangue di bue o alle cipolle di Tropea (2003), certe manie le catene di Sant’Antonio sulle banconote (1986), certi segni dei tempi lo scandaloso disvelamento del figlio illegittimo di Pippo, inteso come amico di Topolino (1993). Ma forse era un colpo di sole.