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 2012  agosto 14 Martedì calendario

“TROPPI CRUCCHI A CASA NOSTRA” IN SVIZZERA RIVOLTA ANTITEDESCHI

Ci chiamano ancora ‘crucchi’…», si sfoga un medico in un forum internet. «I tedeschi assaltano i posti dirigenziali» spara in prima pagina la free press 20 Minuti, denunciando l’invasione nelle stanze di comando dell’economia elvetica. Forse non siamo al livello dei «topi» italiani, come chiama i nostri frontalieri il leader della Lega ticinese Giuliano Bignasca, ma fanno specie gli epiteti da barzelletta affibbiati ai tantissimi tedeschi residenti nei cantoni al confine con la Germania. Nella lunga estate calda dello spread può capitare che cittadini benestanti e istruiti del paese più ricco, potente e temuto d’Europa vengano trattati da esponenti della destra populista svizzera alla stregua di immigrati da ricacciare a casa. Brutti, sporchi e cattivi. «Siamo forse albanesi in giacca e cravatta?», ironizza con dubbio gusto il medico sul web.

Incomprensioni e luoghi comuni tra tedeschi di Germania e cugini del «Grande Cantone» sono vecchi di quasi 80 anni, risalgono ai tempi del Terzo Reich hitleriano. Da qualche tempo sono però riesplosi, complici la querelle sull’accordo anti evasione tra Berna e Berlino sottoscritto ma non ratificato – alcuni Lander accusano le grandi banche svizzere di continuare ad aiutare propri cittadini a nascondere il nero -, e soprattutto il boom recente di tedeschi emigrati tra Zurigo, Berna e Basilea.

Nell’ultimo biennio la Svizzera è diventata il primo paese di emigrazione dalla Germania, superando gli Usa. Sono numeri impressionanti. Ad aprile 2012 erano 279mila i cittadini tedeschi residenti su territorio elvetico: 11.500 in più rispetto al 2011. Valgono il 3,5% dell’intera popolazione, appena dietro la comunità italiana (291mila persone), e si tratta perlopiù di manodopera qualificata (il 60% è laureata), attratta da buoni stipendi e fiscalità favorevole oltre che dall’assenza di barriere linguistiche. Per la cronaca: 10 anni fa, prima dell’introduzione della libera circolazione tra Svizzera e l’Ue, i tedeschi erano esattamente la metà (140mila).

Il mese scorso tre di questi espatriati - Sandra Günter, 41 anni di Amburgo, da 3 professoressa di sociologia dello sport all’Università di Berna; Gerald Rinke, 46 anni di Dresda, impiegato in una società di telefonia mobile a Zurigo e Ulf Schiller, 50enne di Colonia, professore di economia all’Università di Basilea - hanno raccontano le loro esperienze al giornale on line swissinfo.ch. Ne è uscito un ritratto d’interno dove a fianco dei vantaggi emergono le piccole nevrosi. «Se parcheggio male l’automobile, si fa subito notare che è stato un tedesco a farlo», si lamenta Schiller, che vive da 10 anni con la sua famiglia a Säriswil, vicino Berna. «Se dico la mia opinione su questioni politiche, molti se la prendono come fosse un attacco personale», raddoppia Rinke, in Svizzera da 16 anni, per via della sua ex fidanzata, attuale moglie. «Dovrebbero avere più senso dell’umorismo: servirebbe a distendere l’atmosfera».

La forte presenza di laureati tedeschi non è casuale. Il numero di studenti delle scuole superiori svizzere è insufficiente a soddisfare la fame di manodopera qualificata di un’economia basata su finanza, terziario avanzato e grandi multinazionali come Nestlè e Lindt & Sprungli (alimentare), Novartis e Roche (farmaceutica), Abb (automazione industriale), Swatch e Richemont (orologi e lusso) e Holcim (cemento). «Il bacino svizzero è vuoto», riassume il cacciatore di teste Guido Schilling. Ed è proprio la penetrazione in determinati mestieri sensibili, la concorrenza nei segmenti pregiati del mercato del lavoro, ad alimentare la sindrome dell’invasione teutonica. Secondo Avenir Suisse in Svizzera «un alto dirigente aziendale su otto, un professore universitario su cinque e un medico su dieci è di nazionalità tedesca». In alcuni ospedali possono arrivare al 30%. E ancora: a fine 2011 il 32% dei membri dei board di aziende elvetiche era tedesco (fonte: Rapporto Schilling). Il 15% degli ingegneri del paese è tedesco.

A pesare è anche una latente invidia sociale, tipica da piccola patria. «I tedeschi in Svizzera guadagnano bene, abitano in quartieri urbani, tosano il prato altrettanto bene che gli svizzeri e sanno fare la differenza tra prosecco, spumante e champagne. I loro figli non hanno problemi linguistici a scuola e il loro vocabolario è più ricco…», completano il quadretto su swissinfo.ch.

Un revanscismo subito strumentalizzato dalla destra locale e non solo. «In Svizzera vi sono troppi tedeschi», tuona da mesi Natalie Rickli, deputata dell’Unione democratica di centro (Udc). «Un po’ di tedeschi non mi disturbano. Mi preoccupa la folla», rincara in un’intervista al quotidiano Der Blick. «Sono arroganti e autoritari sul lavoro», denunciano su un forum della destra zurighese. In realtà sono mesi che i media popolari rilanciano pregiudizi e ritratti caricaturali. Secondo un sondaggio pubblicato sempre da Der Blick, il 36% degli svizzeri ormai condivide l’opinione che ci siano troppi tedeschi in patria. La talpa scava. Il tedesco resta «il crucco» indesiderato anche se «decine di migliaia di svizzeri vanno regolarmente a Costanza e a Singen a fare acquisti a buon mercato», chiosa al settimanale Sonntag il consulente di comunicazione Klaus J. Stöhlker. «Albanesi con la cravatta», insomma. Nemesi paradossale, nell’estate dello spread in cui la Germania detta legge a tutti.