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 2012  agosto 14 Martedì calendario

ONORE AL BASSISTA

L’altra notte è stata una notte molto lunga, a La Stampa. Alle tre eravamo ancora tutti lì, abbandonati sulle poltroncine della redazione, gli occhi fissi verso l’unica spaventosamente vuota. Ogni tanto qualcuno si alzava per andare a piangere su qualche spalla. Poi, svuotato, tornava a sedersi. C’era un silenzio duro e però tenero, ammorbidito dai pensieri. Poche ore prima il capo della redazione politica Giampiero Paviolo era caduto per strada e per sempre, colpito da infarto. Aveva appena iniziato le vacanze. «Ecco cosa succede ad andare in ferie», avrebbe di sicuro commentato, e in quel silenzio impossibile da rompere sembrava di sentire il riflesso della sua voce sorniona.

Giampiero Paviolo aveva 54 anni. Amava una figlia, una compagna, il Toro, le figurine rare dei calciatori e il lavoro ben fatto. Non scriveva in prima pagina e non andava in televisione. Eppure era un giornalista decisivo, una di quelle persone preparate e miti che rendono un po’ meno invivibili i mondi a cui appartengono, avendo il buongusto, e persino la civetteria, di mantenersi un passo indietro rispetto ai riflettori. In ogni ufficio, famiglia, comunità umana esiste uno come lui. La colonna invisibile su cui si regge l’edificio. Il bassista che, mentre il cantante saltella e gli altri componenti della «band» impazzano con gli assolo, resta nell’angolo più oscuro del palco per dettare il ritmo senza il quale non c’è più musica, solo questo silenzio che non se ne va.