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 2012  agosto 14 Martedì calendario

KURDISTAN, L’ALTRA GUERRA DI ASSAD “ARMA L’OFFENSIVA DEL PKK IN TURCHIA”

KILIS (Confine turco-siriano) — I carri armati turchi sono schierati in ordine sparso, nascosti tra gli alberi di una collina che sovrasta un’ampia pianura. Hanno il cannone puntato verso Aleppo, anche se il loro obiettivo non è né l’Esercito libero siriano né quello fedele al regime di Damasco. I tank di Ankara mirano altri nemici, più interni e più insidiosi: i ribelli curdi del Pkk che, dopo aver trovato rifugio in Siria, hanno lanciato una grande offensiva con centinaia di miliziani nel Kurdistan turco. Il rincrudirsi di quest’annosa guerra all’ombra del recente e sanguinoso conflitto siriano ha già provocato, in Turchia, centocinquanta morti dal 23 luglio scorso. Due giorni fa, per la prima volta dall’inizio della rivolta armata del Pkk, i ribelli hanno sequestrato un parlamentare turco, il deputato dell’opposizione socialdemocratica Huseyin Aygun.
L’ultimo attacco armato della “primavera curda” risale al 5 agosto, e s’è svolto proprio lungo questo confine, quando alcuni miliziani hanno assaltato tre avamposti militari e ucciso 8 soldati turchi. Di questo risveglio militare, Ankara accusa Damasco, sostenendo che gli attacchi sono stati perpetrati dai ribelli curdi con lanciarazzi Rpg7 forniti dai servizi siriani. Sempre secondo le autorità turche, il regime del presidente Bashar al Assad avrebbe consegnato al partito curdo siriano Pyd, vicino al Pkk, il controllo di cinque province del nord lungo la frontiera con la
Turchia. E lo avrebbe fatto per contrastare la ribellione degli oppositori locali al regime. «Durante le manifestazioni contro Assad, ci capita spesso di essere aggrediti da esponenti del Pkk armati da Damasco », racconta Hossam Sayda, uno degli organizzatori delle proteste. «Tra gli attivisti curdi ce ne sono molti di estrazione pacifista ma la maggior parte sostiene l’Esercito libero siriano, che già controlla le aree di alcune città. Non si capisce se quelle regioni “liberate” siano già un pezzo della Siria post-Assad o un tassello di un possibile, nuovo Kurdistan».
La prima conseguenza internazionale della guerra civile in Siria è dunque l’inasprirsi di un conflitto mai sopito, quello tra Ankara e il braccio armato dei secessionisti del “Kurdistan turco”, una lotta che dura da 28 anni e che ha mietuto almeno 40 mila vittime, per lo più curde. La risposta del premier turco Recep Tayyip Erdogan non si è fatta attendere, soprattutto alla luce della nuova alleanza che il Pkk ha stretto in chiave antiturca con il potere siriano. Un’Alleanza che molti analisti interpretano anche come la vendetta dell’appoggio turco alla ribellione siriana sunnita contro il regime alauita di Assad.
Dopo aver minacciato di inseguire
i “terroristi” curdi anche oltre il confine siriano, il premier turco ha dispiegato mezzi corazzati e tank lungo quel tratto di frontiera. Il suo governo ha anche chiuso ai civili sette aree della provincia di Hakkari, nell’Anatolia orientale, teatro di violenti scontri nelle ultime due settimane.
Queste “zone militari” sono state vietate anche ai giornalisti e ai deputati dell’opposizione. Alcuni testimoni raccontano che l’esercito turco e il Pkk combattono in queste ore una battaglia con diverse centinaia di uomini per parte.
Dal 1979, quando Abdullah
Ocalan, assieme ai vertici del Pkk che aveva appena fondato, trovò per vent’anni ospitalità a Damasco, la Siria era governata da Hafez al Hassad, padre di Bashar. Oggi come allora, il regime sembra utilizzare i ribelli curdi per punzecchiare il Paese confinante.
Venerdì scorso, Ankara ha
ricevuto l’appoggio di Washington: in visita a Istanbul, il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha detto che la Siria non deve diventare un «santuario per i terroristi del Pkk». E del sostegno degli Stati Uniti, lo Stato turco ha gran bisogno: se Assad rimanesse al suo posto, Ankara avrebbe
per vicino un Paese sempre pronto a proteggere e armare i suoi storici nemici; se invece il regime di Damasco cadesse, il Consiglio nazionale siriano, diretto dal curdo Abdel Basset Sayda, farebbe di tutto per offrire alla minoranza l’autonomia che rivendica da decenni.