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 2012  agosto 13 Lunedì calendario

Viaggio in Albania alla ricerca dell’Italia che fu - Se dici che vai in agosto in Albania ti guardano già strano

Viaggio in Albania alla ricerca dell’Italia che fu - Se dici che vai in agosto in Albania ti guardano già strano. Ma come, in un paese così sfigato, dove la gente fugge, e che gente. Ma io ci andavo per una ra­gione che non po­tevo dire perché sarebbe apparsa una pazzia. M’im­barcai su quei tra­ghetti pessimi, in eterno ritardo, per­ché cercavo in Al­bania la terra mia, il mio mare e la mia gente di cin­quant’anni fa. Mi ero convinto che gli albanesi fosse­ro la versione in bianco e nero dei pugliesi, li vedevo come i cafoni no­stri di una volta, quelli di Vittore Fiore e del lucano Rocco Scotellaro. Poi mi ricordavo da ragazzo l’avvo­cato Pinto che an­dava a nuoto in Al­bania e mi ronza­va la voce petulan­te di una pazza co­munista che a Ra­dio Tirana annun­ciava il crollo im­minente del Capi­talismo e dell’Imperialismo occi­dentale. E immaginavo noi puglie­si partire con gli scafisti per trovar asilo nella fulgida repubblica co­munista albanese. Poi non andò proprio così.D’altra parte lo so­spettavo: conoscevo una ragazza, Netta, nata in Albania e arrivata in Italia nascosta in una valigia buca­ta, perché sua madre fuggiva dalla fame e dalla tirannia. Quando sua madre ebbe il permesso di riab­bracciare i suoi, dopo vari anni, an­dò a trovarli e a tavola quando le porsero il piatto tutti guardavano in silenzio, affamati, e lei capì, dis­se che non aveva fame e i suoi fra­telli, come il Conte Ugolino, si av­ventarono sul fiero pasto lasciato dalla sorella viziata dall’Occiden­te. Mi ricordai d’un traduttore al­banese della Rai a cui confiscaro­no la villa di famiglia perché là c’era Madre Teresa di Calcutta. E mi ricordai di Indro Montanelli che lì ci andò- più che trentenne e già inviato - col su’ babbo, ai tem­pi in cui l’Albania passò sotto l’Im­pero d’Italia. E pubblicò nel 1939 un libro elogiativo dell’impresa, Albania una e mille , finanziato dal Minculpop, anche se Indro ha sempre detto che lui un paio d’an­ni prima era diventato antifasci­sta. Mi frullavano nella mente pu­re le immagini d’un film del bare­se Nico Cerasola, Albania blues , dove la sua Albania era per metà la sua masseria pugliese. Erano que­sti i vaghi sentori che mi portava­no in Albania, ma c’era uno su tut­ti che stento a confessare, legato a quella Puglia proustiana a cui ac­cennavo. Intanto vi dico che an­dandoci ho trovato quel che mi aspettavo. Ho ritrovato tracce del­la miseria rinomata, quelle facce ruvide, la tristezza dei paesi privi di tutto, non dico senza boutique griffate ma senza panifici, con i bar e gli hotel che a colazione igno­rano cornetti torte biscotti, solo caffè e un bicchiere d’acqua; al più burro primitivo e marmellata su una fetta di pane da guerra. So­no stato nella parte più a sud, tra Valona e Saranda, perché quel ma­re io cercavo. Il mare dell’infan­zia, le mie spiagge, la Testa, Salsel­lo, la Salata, Ripalta. E le ho trova­te intatte, come me le ricordavo da bambino, a Bisceglie, 50 anni fa, dove invece non ci sono più, se non posticce o in ogm. Lì invece erano nella loro purezza origina­ria, anche se insidiate da un’edili­zia sciagurata, aggravata dalle ma­cerie del vecchio regime comuni­sta, più rustici di case, come in Sici­lia e in Calabria. Ho visto due inse­diamenti militari in disarmo sul mare, a Porto Palermo e poi a Jari; una baia incantevole accanto a un monastero, ma inaccessibile, tra muraglie e divieti. Cerco di entra­re, ma dal muro si apre uno spor­tello e compaiono due teste, una dietro l’altra, che ribadiscono il niet. Loro due, soli, come giappo­nesi a guerra finita, presidiavano quella Fortezza Bastiani in rovi­na, ligi a un ordine che forse risali­va al dittatore Hoxha, alcuni de­cenni fa. Era impressionante la lo­ro solitudine e il quadretto delle due teste, una dietro l’altra (temo che per la solitudine fossero in po­sa sodomita), pronti a opporsi al Tartaro che violava il loro deserto. Pittoresca la frontiera con la Gre­cia, a Butrint: per guadare il confi­ne fluviale una piattaforma arrug­ginita trasborda quattro auto per volta e uno tira la corda dall’altra sponda. Si entra in Europa col tiro alla fune, e si esce con lo stes­so criterio. La Grecia sta per­dendo il tiro al­la fune e rischia di andare alla deriva e finire in Albania... Qui si mangia con due soldi, si dorme con quattro. Con 500 lek, pari a tre euro e mezzo, hai l’om­brellone e due lettini; proprio co­me a Forte dei Marmi... In com­penso devi sorbirti musiche osses­sive a tutto volume. Le insegne sembrano il frutto di una lingua imitata a orecchio: tualet per toi­lette, piceria per pizzeria.C’è prez­zo fisso ovunque, persino il miele venduto nelle baracche di monta­gna. Sarà un lascito del comuni­smo. Ma poi entri in quel mare del­l’in­fanzia e ti accade il miracolo at­teso, che altri chiameranno alluci­nazione. Prima ritrovi l’acqua, gli scogli, i lapilli del mare d’infan­zia; poi la salsedine intensa, gli odori e anche i fe­tori. Infine ritrovi le persone perdu­te in quel passato. Una volta da bam­bino pensai che i morti finissero al­l’altra sponda: co­me diceva Caron­te «I’ vegno per me­narvi all’altra ri­va »... Per me l’Al­bania era la terra dei morti, cioè la terra dov’erano fi­niti quelli che spa­rivano dalle parti mie. La nostra Spo­on River. Ho im­maginato che nuo­tando verso l’oriz­zonte fossero spa­riti i Dardes, i Co­smai, famiglie di amanti del mare con cui ci ritrova­vo a riva. Lì in Alba­nia sarà approda­to pure Saverio-Ca­scavilla che scruta­va l’orizzonte e so­gnava di costruire un muro al largo della nostra costa, così il mare «sarà sempre calmo» di­ceva con gli occhi di pazzo... Lì in Albania saranno approdate figu­re mitiche che vedevo da bambi­no al mare, donna Chizzi e il con­sole Logoluso, Giulia Dutto carbo­nizzata dal sole, i Consiglio, la Contessa Alvarez de Toledo nata Caprioli, Fiore, il maniaco sessua­le che esibiva il pezzo a mare, Pep­pino il Priso, un collegio intero di docenti: Pasquale Di Luzio, Gio­vanni Todisco, Giovanni Imme­diato, Tonino Papagni, Anna Ven­tura, Peppino Porcelli... Ma l’im­pressione maggiore l’ho avuta quando ho visto un bambino ne­ro nero che camminava scalzo e goccio­la­nte per la stra­da ed ero io mezzo secolo fa. Poi ho rivi­sto­mentre pas­sava una vela al­le loro spalle, due ragazzi che si baciava­no tra gli scogli. Erano mio pa­dre e mia ma­dre proprio co­me sono in una foto in bianco e nero del ’35. Allo­ra ho capito cosa cercavo in Alba­nia: non una terra da conoscere, nuovi mari e nuove genti, ma quel tempo antico, le sue onde e i suoi abitanti perduti nell’imbuto im­pietoso del tempo. Cercavo la mia infanzia,e in quell’infanzia l’origi­ne del mondo, il tuo piccolo mon­do antico o l’universo intero visto tramite la fessura della propria vi­ta. In fondo si viaggia per ritorna­re. L’alba della vita nostrana ha preso il nome d’Albania.