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 2012  agosto 13 Lunedì calendario

Gli inutili Casini di Pierferdy il bello che sa solo galleggiare - Chiedo scusa agli insigni colleghi politologi di que­sto e altri giornali, ma tro­vo ingiustificato tanto interrogar­si su Pier Ferdinando Casini

Gli inutili Casini di Pierferdy il bello che sa solo galleggiare - Chiedo scusa agli insigni colleghi politologi di que­sto e altri giornali, ma tro­vo ingiustificato tanto interrogar­si su Pier Ferdinando Casini. Tut­to già visto. Il leader dell’Udc è uno dei personaggi più stantii del­la scena politica che, essendone nell’intimo consapevole, si agita almeno una volta l’anno per darsi un tono. In genere, prima delle va­can­ze estive nel tentativo di farsi ri­cordare fino a settembre. Pare che con l’intervista al Cor­riere della Sera abbia aperto a sini­stra. Non però da subito, ma dopo le elezioni 2013, in una coalizione che non è chiaro se oltre al Pd di Bersani, comprenda anche Di Pie­tro e Vendola o solo Vendola sen­za Di Pietro o il contrario. Campa cavallo fino ad allora. Da quando nel 2008 ha chiuso con il Cav- che era la sua bussola e polizza di assi­curazione dal 1994 - Pierferdy di­ce e fa stranezze che però non la­sciano traccia. Le riassumo e ve­drete che vi erano totalmente usci­te dalla testa anche se, come in questi giorni, se ne fece un gran parlare. Nel 2008, dopo il fallimento Pro­di, Casini propose un grande soda­lizio di necessità tra destra e sini­stra. Sognava di mettersi alla testa del guazzabuglio e ricavarne lu­stro. Nessuno se lo filò,un po’ per­ché non c’erano le condizioni e molto perché se Pdl e Pd avessero voluto putacaso allearsi, lo avreb­bero fatto direttamente, senza aspettare la manleva di una mo­sca cocchiera. Di bell’aspetto,cer­to, ma sempre mosca. Casini, pa­go dei titoli dei giornali, fece buon viso e ci riprovò l’anno dopo. Nel­l’estate 2009, al picco del solleo­ne, si rimise in vendita dicendosi disposto a un’unione con chic­chessia pur di salvare l’Italia, ma stavolta da Berlusconi. Eravamo nel pieno delle carinerie tra il pre­mier e le signorine Noemi e D’Ad­dario. Con raro senso delle pro­porzioni, Pierferdy parlò di «emer­genza democratica » e propose un nuovo Cln. Ossia, un’alleanza tra lui e la sinistra molto più esplicita di quella cui accenna in questi giorni. Suscitò l’entusiasmo del rifon­dazionista, Paolino Ferrero, che esclamò: «Per sconfiggere Berlu­sconi, ci alleiamo anche col diavo­lo ». Di fronte a un’adesione così maleducatamente espressa, Casi­ni reagì: del diavolo a me? Vai al diavolo tu. Comunque, avendo fatto parlare di sé, aveva messo in cascina anche il 2009. Nel 2010, in­vece di perdersi in chiacchiere, op­tò per le cadreghe. Nelle elezioni amministrative, mostrò come la pensava davvero sulle alleanze: nel Lazio appoggiò la destra, in Piemonte la sinistra, in Lombar­dia andò solo, in Sicilia di nuovo con la destra. E così, per lo Stivale. Il tutto per centrare l’obiettivo principale della sua attività politi­ca: raccattare poltrone, sediole e strapuntini. Nel 2011, la crisi eco­nomica ci ha risparmiato la tradi­zionale esternazione balneare di Pierferdy che si è però ampiamen­te­rifatto tra novembre e quest’an­no con le sviolinate giornaliere a Mario Monti in cui ha finalmente trovato un nuovo faro. Consape­vole però che non durerà a lungo, gli tocca tenersi a galla con qual­che iniziativa. Di qui l’«apertura a sinistra» della scorsa settimana. Dicono che Pierferdy punti al Quirinale. Non ce lo vedo, ma ci credo. Qualsiasi politico con un pizzico di spina dorsale vorrebbe andare a Palazzo Chigi per gover­nare il Paese e tirarlo fuori dalle pe­ste. Tanto più se, come Casini, oc­cupa la scena da quasi trent’anni: ne aveva 28 quando entrò a Monte­citorio nel 1983, oggi ha i capelli grigi e cinquantasei primavere sul groppone. Invece, il leader Udc è sempre scappato a gambe levate dalle responsabilità di governo. Mai una volta ministro o sottose­gretario, avendone avute mille oc­casioni. Figurarsi, se vuole fare il premier e prendersi la briga di con­frontarsi con i problemi. Casini è in politica con lo stesso spirito di uno che faccia il militare con la ferma intenzione di non an­dare mai in guerra. Il coraggio uno non se lo può dare. Ecco perché, tra il 2001 e il 2006, si pavoneggiò felice alla presidenza della Came­ra, dove amministrava 630 colle­ghi, privilegiati come lui, e non ses­santa milioni di italiani, tra cui ot­to milioni di poveri. Si capisce quindi che voglia trasferirsi al Qui­rinale, altra oasi, in cui nelle situa­zioni più drammatiche- come og­gi- si debbono al massimo prende­re d­ecisioni politiche interne al Pa­lazzo, non quelle che toccano i cit­tadini nella loro pelle. Tuttavia an­che lì- se mai ci finirà-sarebbe l’in­quilino col medagliere più scarso. Tutti quelli saliti fin qui sul Colle erano o ex premier o ministri di ca­libro o ex governatori di Bankita­lia, con l’eccezione di Sandro Per­tini che ebbe però una vita da ro­manzo. In questa galleria di gente che era stata in trincea, Pierferdy fa la figura di un cagnolino da sa­lotto. La grande idea di Casini è stata quella di creare e tenersi stretto un partitino - il Ccd, poi Udc- che in sé non conta, ma è percepito co­me erede della Dc. Con questo ca­notto galleggia da vent’anni dan­dosi l’aria del leader come un no­bile decaduto ostenta il solo coc­chio che gli sia rimasto. L’Udc è lo specchio per le allodole degli in­quieti momentanei. Come in un albergo a ore, da Casini sostano transfughi di destra e sinistra il tempo necessario per accorgersi che non c’è futuro per nessuno perché tutto l’apparato, uomini e soldi, è al servizio della inutile ­per il Paese- sopravvivenza politi­ca di Pier Ferdinando. Il viavai mi­gratorio dall’Udc stupirebbe an­che una capitaneria di porto. So­no fuggiti a gambe levate per aderi­re alla destra, Sandro Fontana, Carlo Giovanardi, Gianfranco Ro­tondi, Erminia Mazzoni, Mario Baccini;per altri lidi centristi,Bru­no Tabacci e Sergio D’Antoni; a si­nistra, l’amico di adolescenza, Marco Follini. E chissà quanti ne dimentico. Con quelli che lo lasciano, Pier­fer­dy è rancoroso e consuma ven­dette squisitamente democristia­ne: casuali in apparenza ma atten­tamente studiate per fare male. Quando se ne andò, Gianfranco Rotondi fondò un partito lillipu­ziano, detto «Democrazia cristia­na », con altri due fuorusciti. Uno era Piergiorgio Martinelli, esoda­to dalla Lega. Al nuovo raggruppa­mento bisognava trovare una si­stemazione tra le centinaia di loca­li di Montecitorio. La decisione spettava a Casini, che era allora presidente della Camera, e fu que­sta. Rotondi e i suoi furono sbattu­ti in un posto impossibile, arram­picato tra rampe scalette che, a far­le tutti i giorni, nessuno dei tre avrebbe raggiunto l’età pensiona­bile. Per di più,l’ex leghista Marti­nelli per arrivarci era costretto a passare nell’ala riservata al grup­po della Lega Nord, dove era subis­sato di lazzi padani con forti tribo­li del suo miocardio. Non c’è molto altro da dire di Pierferdy. È un peso così leggero che lo sono pure le critiche che lo riguardano. A parte il «tradimen­to » del Cav - ma in politica è nor­ma- gli viene rinfacciata incoeren­za tra il pubblico atteggiamento da devoto baciapile e la vita priva­ta. E questo perché in prime nozze ha sposato una divorziata e in se­conde non si è sposato in chiesa. Ditemi voi, se vale la pena di discu­tere di uno che di sulfureo ha solo questo.