Francesco Rigatelli, la Stampa 13/8/2012, 13 agosto 2012
13 AGOSTO 1965
Un altro aereo americano abbattuto in Vietnam Dal nostro inviato speciale a Saigon. Un aereo americano abbattuto nel Nord Vietnam da un missile Sam, la conferma dell’impiego di truppe americane nella battaglia di Duc Co: queste due notizie hanno scosso la cupa apatia in cui Saigon sembra sprofondare ogni giorno un po’ di più. Quattro Skyhawk, cacciabombardieri a reazione, hanno decollato subito dopo la mezzanotte dalla portaerei Midway per una ricognizione armata a nord del 17° parallelo. Attaccato un camion a 200 km a sud di Hanoi, i jets hanno proseguito verso nord, quando, giunti a 80 km a sud della capitale, in una zona dove si riteneva non esistessero basi missilistiche, uno dei cacciabombardieri si è improvvisamente come dissolto in un rapido bagliore. I piloti degli altri tre apparecchi (uno dei quali è stato danneggiato dall’esplosione) «non hanno visto aprirsi nessun paracadute ». E’ questo il secondo aereo che gli americani perdono ad opera di un missile terraaria di fabbricazione sovietica.... È pertanto possibile che anche stavolta, per rappresaglia, Washington ordini il bombardamento di basi mobili rivelate da un più attento esame delle foto aeree. Si esclude infatti in questi circoli che si possa giungere ad un bombardamento delle basi fisse «affidate a tecnici sovietici». Un attacco alle basi fisse da parte americana potrebbe portare ad uno scontro diretto tra Russia e America. Ma c’è anche una considerazione di carattere politico che trattiene, e tratterrà, gli americani dal bombardare quelle basi anche se ciò renderà più costosa e difficile l’escalation aerea: è chiaro che installando e curando le basi missilistiche la Russia ha riguadagnato presso i nordvietnamiti quel prestigio che la polemica con la Cina e il suo atteggiamento moderato avevano fatto decadere. Fino a quando le basi missilistiche russe si limiteranno alla difesa di Hanoi (dal momento che gli americani non hanno nessuna intenzione, almeno per ora, di bombardare la capitale) altro non rimane che continuare a condursi come si è fatto, evitando cioè accuratamente ogni azione che possa portare a uno scontro diretto... (Igor Man)
Cina, Russia e Stati Uniti giocano in Asia il loro prestigio La maggioranza dell’opinione pubblica internazionale (compresi anche gli uomini di governo) nel considerare il conflitto del Vietnam, sembra vittima di una specie di ipnosi. Essa si rende ben conto che quel conflitto va collocato nel quadro della lotta di principio e di prestigio fra le maggiori potenze mondiali. Non vede, invece, o almeno non prende in considerazione, i riflessi che le altre questioni specifiche, preesistenti fra le medesime potenze, possono avere sugli svolgimenti del conflitto in questione: il che rappresenta pur sempre un isolamento di questo nel quadro internazionale. Cina e Stati Uniti sono e si dichiarano, in contrasto fra loro per il Vietnam, e più in generale per il Sud-Est asiatico, ove Pekino si preoccupa di ogni accrescimento della presenza militare americana in quella vastissima zona. Ma le due potenze, massime rappresentanti del conflitto mondiale fra democrazia libera e dispotismo comunista hanno altre ragioni specifiche di contrasto, oltre il Sud-Est asiatico. E a questo punto c’è buona occasione per ricordare come nonostante ogni passione sincera e sfoggio propagandistico di fede comunista - che a qualche beghina nostrana del comunismo fa ridevolmente esclamare: non è lecito essere anticomunista -, ogni governo comunistico, grande o piccolo, finisca per trattare nazionalisticamente questa o quella questione internazionale, né più né meno di quel che fanno i famigerati governi capitalistici, immersi nelle tenebre dell’errore demoliberale. Se Mao e i suoi discepoli non fossero persuasi che la politica krusceviana di coesistenza con l’Occidente arreca vantaggi particolari all’Urss, non si scalderebbero tanto a combatterla e soprattutto non la imiterebbero nelle loro relazioni con i governi non comunisti: relazioni del carattere più eterodosso immaginabile. Giova all’umanità sollevare ogni tanto le maschere di ipocrisia ricoprenti i volti di coloro che hanno trasformato il motto marxistico: «Proletari di tutto il mondo unitevi» in quello imperialistico : «Proletari di tutto il mondo, seguiteci e obbedite». Il contrasto massimo fra Cina e Stati Uniti rimane ancora quello di Formosa. Colà tutte due le parti una cosa dicono e un’altra ne pensano. I cinesi di Pekino domandano agli americani di andarsene da Formosa, in nome del diritto nazionale cinese, mentre pensano che una volta andati via gli americani, potranno sottomettere Formosa in barba a ogni diritto di autodecisione dei popoli. Gli americani difendono Formosa dalla conquista comunista in base al principio consacrato nel mai disdetto Patto Kellogg; ma ciò che a loro preme più immediatamente è di mantenere una diga solida contro l’espansione del comunismo cinese... È un grande errore occidentale e comunista quello di credere di poter temporeggiare all’infinito e seguitare impunemente a portar simili palle al piede. (Luigi Salvatorelli)