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 2012  agosto 13 Lunedì calendario

EGITTO, SFIDA AI MILITARI VIA IL CAPO DELLA GIUNTA

Il neoeletto presidente egiziano Mohammed Morsi ha rimosso il capo delle forze armate e ministro della Difesa, generale Hussein Tantawi, cancellando le norme che accrescevano i poteri militari.
La grande purga. Si sapeva che, non si sapeva quando. Due mesi dopo il «golpe costituzionale» dei generali (che gli avevano tolto il comando delle forze armate), una settimana dopo il prevedibile massacro dei 16 soldati egiziani nel Sinai (che l’ha costretto a mandare gli elicotteri nel deserto, bombardando i salafiti), il fratello islamico Mohammed Morsi decide di regolare i conti. Via i pezzi più pregiati della giunta militare sopravvissuta a Mubarak. E via il generale Hussein Tantawi, il grande rivale, che solo pochi giorni fa aveva lui stesso nominato ministro della Difesa, in uno stupore non diverso da quello che ora ne circonda il siluramento. Il segnale al Paese è chiaro: un comunicato, poche righe lette dal portavoce, e in un soffio il presidente egiziano spegne le stellette d’Esercito, Aviazione e Marina, riprendendosi tutti i poteri con la nomina d’un suo vice. Fra le nuove barbe del potere cairota e le tante barbe finte che ancora ne abitano i palazzi, fra islamici e Consiglio militare, è lo scontro aperto che s’attendeva: anche se non così presto.
«Svilupperemo un nuovo, moderno Stato», dice Morsi, che poi aggiunge: «Le decisioni che ho preso non avevano come obiettivo singoli individui, e non ho l’intenzione di imbarazzare le istituzioni. Non ho inviato alcun messaggio negativo a nessuno, il mio obiettivo è solo l’interesse della nazione e il suo popolo». Il potentissimo Tantawi, l’eroe di Suez 1956 che per vent’anni guidò la Difesa, il presidente de facto nominato dallo stesso Mubarak per placare le rivolte di piazza, l’uomo forte del Cairo che un cablo americano (rivelato da Wikileaks) già nel 2008 definiva «carismatico e cortese, ma vecchio e restio al cambiamento», a 76 anni il Feldmaresciallo viene congedato con una medaglia, il Nilo d’Oro, che è una patacca peggio d’una medaglia di legno alle Olimpiadi. Ma pure con un prezioso incarico di «consigliere del presidente» che gli eviterà, forse, un umiliante processo pubblico. Tantawi paga, in un colpo solo, troppe colpe. Quelle storiche, d’essere grande amico degli americani e soprattutto dei sionisti: a inizio luglio, all’insaputa di Morsi, lui e il capo degli 007 Muwafi (licenziato mercoledì) avevano incontrato un inviato del premier israeliano Netanyahu. E quelle, più recenti, d’essere un pericoloso rivale politico, assai più dei salafiti; d’avere lasciato precipitare il Sinai senza ascoltare le allerta dell’intelligence; d’averne scaricato le responsabilità sul medesimo Muwafi, suscitando molti malumori nei servizi; in definitiva, di «non avere capito le nuove regole della democrazia — spiega un analista militare, Alex Fischman —, perché sono finiti i tempi dei generali egiziani che rispondevano solo a domande scritte». Tantawi viene silurato con tutto il suo staff e rimpiazzato da un nome seminuovo, Abdellatif Sisi, mentre la nuova carica di vicepresidente d’Egitto — che non esisteva dai tempi di Sadat e che un mese fa sembrava promessa proprio a Tantawi — va a Mahmoud Mekki, il magistrato che nel 2005 guidò le prime proteste contro le frodi elettorali dei Mubarak.
È presto per dire se al Cairo siamo a un cambio di stagione, dalla Primavera araba a una caldissima estate islamica, come il nuovo giro di vite su stampa e tv fa temere. Bisogna pure capire se il contro- golpe porterà a un reale ridimensionamento delle Forze armate, con la fine del dualismo presidenza-generali: Morsi, in realtà, avrebbe deciso la purga ascoltando il parere di molti capi militari, ben felici di barattare la testa dell’ingombrante Tantawi coi poteri legislativi che la stessa ex giunta s’era attribuita il 17 giugno, in un emendamento alla Costituzione, dopo la vittoria elettorale dei Fratelli musulmani. Dell’esercito, del miliardo e mezzo di dollari che gli Usa versano alla difesa egiziana, Morsi non può ancora fare a meno: il Sinai è da riconquistare, ieri ci sono stati nuovi scontri, uccisi sette qaedisti (e uno solo era egiziano). L’operazione «Aquila», per ripulire la penisola con il consenso degl’israeliani, va avanti. Un giornale telavivi disegna il presidente del Cairo in cima alla torretta d’un tank, mentre scruta il deserto fra lampi e botti: in mano tiene il suo nuovo vangelo, «La guerra al terrore», opera fondamentale di Bibi Netanyahu.