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 2012  agosto 13 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 13 AGOSTO 2012

«Entro novembre»: sarebbe questa, secondo gli esperti del Pentagono, la data di scadenza del regime siriano di Bashar Assad. [1] Giordano Stabile: «“Non ha più il controllo del Paese”, riassume il portavoce del Consiglio nazionale di sicurezza americano, Tommy Vietor. Alla base ci sono le analisi dell’Intelligence e un po’ di “wishful thinking”, di “pio desiderio”». [2] Lunedì, quando si è saputo della fuga in Giordania (poi in Qatar) del primo ministro Riyad Hijab, l’uomo al quale il raìs aveva affidato qualche mese fa il governo, la fine del regime sembrava ormai imminente. [3]

Per comprendere la fuga di Hijab occorre guardare ad Aleppo, città del Nord che gli insorti vorrebbero trasformare nella Stalingrado siriana (con i generali del raìs nei panni del perdente feldmaresciallo tedesco Friedrich Paulus). Se la netta superiorità delle forze governative avrà la meglio nella battaglia, il regime di Assad potrà sopravvivere almeno per qualche tempo, si diceva all’inizio della scorsa settimana. Franco Venturini: «Se invece l’esercito libero” riuscirà a non farsi cacciare dal polmone economico siriano, il contagio della rivolta esploderà e il presidente dalle mani insanguinate farà bene a preparare rapidamente le valigie». [4]

Hijab (e con lui molti pezzi del regime) non ha voluto attendere la verifica sul campo [4] e molti hanno preso a parlare di «scenario libico: il tiranno ogni giorno si guarda attorno e scopre di essere sempre più solo» (Domenico Quirico). [5] Proclamando in tv che avrebbe ripulito Aleppo dai “terroristi”, Assad faceva però sul serio. Mercoledì il quartiere Salaheddin è stato colpito da un bombardamento violentissimo. L’opposizione ha parlato di «ritirata strategica», «ma è difficile credergli» (Pietro Del Re). [6]

«Quello che sta facendo il regime di Damasco ad Aleppo mi ricorda ciò che fecero i russi a Grozny, con la stessa cieca repressione e la stessa furia distruttiva» (una studentessa fuggita in Turchia). [7] Più che sgretolarsi, come annunciavano gli osservatori più impazienti, il regime di Assad si sta frantumando seguendo le divisioni etniche (corrispondenti spesso a quelle religiose) all’interno del paese. Bernardo Valli: «La maggioranza sunnita, in rivolta e articolata in clan e “famiglie”, contro gli alauiti, imparentati agli sciiti e punta di lancia del regime. E poi cristiani, curdi, drusi ridotti a zavorra umana nella tempesta». [8]

Se dentro la Siria è in corso una guerra di trincea, fuori se ne combatte una di posizione. Francesca Paci: «Da una parte gli alleati di Assad, a cominciare da quell’Iran che ha ospitato una conferenza internazionale sulla crisi paventando uno scenario modello Afghanistan nel caso d’“interferenze straniere” e candidandosi al ruolo controverso di mediatore (25 Paesi ospiti, tra cui Cina e Russia, ma presente solo con l’ambasciatore). Dall’altra le monarchie del Golfo, accusate da Damasco di sponsorizzare i ribelli, e l’Occidente capitanato dagli Stati Uniti». [9]

In mezzo, non nel senso di neutrali ma di direttamente investiti dagli echi del conflitto, ci sono i Paesi confinanti. Paci: «La Turchia, in primo luogo, che ospita già oltre 50 mila profughi siriani nonché le basi dell’Esl (Esercito libero siriano). Da tempo schierata con l’opposizione, Ankara teme adesso la rappresaglia di Assad che, secondo il ministro degli Esteri Davutoglu, starebbe armando i separatisti curdi del Pkk tornati a colpire negli ultimi tempi. L’Iraq sciita, uscito scettico dal summit di Teheran. E infine il Libano, storicamente il meno immune al contagio». [9]

A complicare le cose c’è il timore che la Siria cada «dalla padella di Assad nella brace islamista». [10] Il presidente russo Vladimir Putin sarebbe «terrorizzato all’idea che un governo meno saldo e autoritario di quello di Assad possa far dilagare l’estremismo islamico alle porte di casa, nelle mai domate regioni caucasiche ribelli come Cecenia e Daghestan» (Nicola Lombardozzi). [11] Le preoccupazioni di Mosca sono condivise da Washington: il segretario di Stato, Hillary Clinton, ha avvertito che l’invio in Siria di «combattenti» jihadisti da parte di chi «sta cercando di approfittare della situazione» «non sarà tollerato». [12]

Da fiancheggiatori gli uomini delle cellule di Al Qaeda si stanno trasformando in ospiti ingombranti: Washington e Gerusalemme non possono permettersi che la Siria diventi una terra di nessuno, una base sicura per gli islamisti. Giordano Stabile: «Gli insorti del Cns hanno 5 mila combattenti nella regione di Aleppo. Alcune migliaia fra Hama e Homs, 5-6mila nell’Est, a Deir Azzor, e qualche centinaio sopravvissuto alla battaglia di Damasco. I curdi hanno 3 mila uomini in armi, ma si sono tirati fuori con l’accordo per l’autonomia della loro regione, concessa da Assad». [12]

Gli jihadisti, stimati in 3-4 mila dalla Cia e in 5 mila dal Mossad, sono meglio armati degli altri ribelli. Battezzati dalla guerriglia in Iraq, Algeria, Yemen, Afghanistan, sono soprattutto molto meglio addestrati. Stabile: «Il rischio di un “take” over, di una presa di possesso della rivoluzione è forte. Da primavera araba a primavera jihadista il passo è breve. In piccolo, il caos nel Sinai è lì a dimostrarlo. Israele ha fatto filtrare, in due lunghi pezzi sull’Haaretz, tutte le sue preoccupazioni. L’uccisione ad Aleppo dell’avvocato turco Osman Karahan, ritenuto vicino ad Al Qaeda, è un’ulteriore conferma del ruolo sempre più attivo dell’organizzazione. E la presenza di jihadisti europei, “dal Belgio”, è stata confermata da Jean-Clement Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo». [12]

Il rischio islamista, dicono gli ottimisti, si corre solo se la guerra si prolungherà. Ziad Majed, politologo libanese con cattedra all’Università americana di Parigi: «Nella rivoluzione una componente islamista senz’altro c’è. Ma per ora è minoritaria, militarmente significativa ma socialmente isolata. Il mosaico siriano è così composito che per i salafisti sarebbe molto difficile, anche solo per ragioni demografiche, prendere il sopravvento. E i primi a opporsi sarebbero gli islamisti moderati». [10]

A complicare le cose c’è la questione del nucleare iraniano, con le annesse ripetute intenzioni israeliane di porre fine a quel progetto con un’azione militare. Valli: «Scalzato Assad, i depositi di armi chimiche creati dal regime resterebbero senza controllo, e i jihadisti cercherebbero di impossessarsene. Gli occidentali sarebbero quindi tentati o costretti a intervenire con operazioni limitate, tese a neutralizzare quei depositi. Ci sarebbero già state consultazioni militari in proposito tra Londra, Parigi e Washington». [8]

Ferito dalla fine dell’alleato siriano, l’Iran non resterebbe a sua volta silenzioso o del tutto immobile. Valli: «E questo offrirebbe a Israele l’opportunità, il pretesto, per colpire i siti atomici iraniani. Non a caso i paesi del Golfo si stanno dotando di scudi anti-missili costosissimi. Turchia compresa. Ma siamo ancora agli scenari, sia pur non tanto fantapolitici». [8] Nel frattempo, spiega «uno dei dissidenti più corteggiati dall’Occidente», la popolazione siriana è divisa: «Un terzo che sostiene il regime, un terzo l’opposizione, e un altro terzo che sta a guardare, per vedere come va a finire». [1]

Note: [1] Alix Van Buren, la Repubblica 7/8; [2] Giordano Stabile, La Stampa 7/8; [3] Pietro Del Re, la Repubblica 7/8; [4] Franco Venturini, Corriere della Sera 7/8; [5] Domenico Quirico, La Stampa 7/8; [6] Pietro Del Re, la Repubblica 10/8; [7] Pietro Del Re, la Repubblica 11/8; [8] Bernardo Valli, la Repubblica 11/8; [9] Francesca Paci, La Stampa 10/8; [10] Alberto Mattioli, La Stampa 7/8; [11] Nicola Lombardozzi, la Repubblica 9/8/; [12] Giordano Stabile, La Stampa 8/8.