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 2012  agosto 08 Mercoledì calendario

IO, MIA MOGLIE E IL RE DEL PORNO


«Sono Eric». La voce nella notte arriva da lontano. È una voce gentile, non la attribuiresti a un uomo di quelle misure e di quei trascorsi. Certo, Cantona visto di persona avrebbe dato altra soddisfazione, come quando nel film di Ken Loach – Il mio amico Eric – improvvisamente si materializza davanti al suo fan mingherlino e sfigato e, con tutta la sua potenza fisica oltre che con i suoi aforismi («I am not a man, I am Cantona»), gli cambia e galvanizza la vita. Ma adesso davanti agli occhi, mentre si presenta al telefono, scorrono altre immagini. Quelle del nuovo film che il fu calciatore e adesso attore (ma anche molto altro) ha interpretato, e che sarà presentato il 10 agosto al Festival di Locarno nella sezione Cineasti del presente. Si intitola Les mouvements du bassin, lo ha diretto un regista – Hervé P. Gustave, conosciuto come HPG – più noto come autore e attore porno, e lo interpreta la stessa moglie di Eric, Rachida Brakni.
Nel film – dove si incrociano la storia di un guardiano dello zoo psichicamente disturbato e di una donna disposta a tutto per un figlio – lei è un uomo che fa prostituire la moglie. Perché ha accettato questa parte?
«Mi piaceva il film, anche se il personaggio non ha niente a che vedere con me. Ma soprattutto conoscevo HPG: in Francia è molto popolare per i film porno, ma in realtà è uno dei migliori registi tout court».
Le è capitato più volte di recitare con sua moglie: fa bene mescolare lavoro e amore?
«Certo che mi piace, anche se qui i nostri personaggi non si incrociano mai. Io e Rachida ci siamo conosciuti sul set di L’outremangeur, nove anni fa, ed è stato amore a prima vista. Succede in tanti mestieri, no? Si lavora insieme, e ci si innamora».
Per quello, lei ha girato anche con la Bellucci in Le deuxième soufe e con la Adjani in De force…
«Bellissime, lo so. Ma soprattutto ottime attrici».
D’accordo, ma ammetterà che, rispetto al mondo del calcio, questo è un vantaggio del cinema.
«Oh, quello sì. In quell’ambiente c’erano solo uomini».
Ha mai incontrato calciatori omosessuali?
«No. Ma non me ne sarebbe importato niente. Per me, ognuno può fare ciò che vuole. L’importante è essere onesti, dire la verità».
E quando ha deciso di smettere di giocare, a soli 30 anni, che verità si è detto?
«Che avevo bisogno di adrenalina, sempre. E sul campo non la trovavo più. Se per anni hai sempre giocato, dedicato a questo tutto il tuo tempo, smettere all’improvviso è difficile. Così, sono andato a cercare l’adrenalina di cui avevo bisogno in altri campi. Che poi non sono così lontani: sempre di jouer si tratta (il termine francese indica tanto “giocare” quanto “recitare”, ndr). E io ho bisogno di giocare».
Lei recita anche in teatro e ha appena terminato la tournée di Ubu incatenato: dà più adrenalina il momento che precede la partita o quello prima di andare in scena?
«Sono due sensazioni molto simili, sei lì di fronte al pubblico e devi fare un grande game, giocare o recitare, non c’è differenza. Questa da attore non è la mia nuova vita, rispetto ai tempi del calcio: è la stessa che continua e si evolve».
E lei il calcio non lo ha proprio abbandonato: farà il direttore tecnico dei New York Cosmos. Quando si trasferirà in America?
«Stanno ancora discutendo di strategie, per ora continuo a vivere in Francia».
Ha visto gli Europei? Non trova che Balotelli in qualche modo le assomigli?
«Mi scusi, ma di calcio non voglio parlare, non mi interessa».
Peccato. Allora torniamo al cinema: un film in Italia lo farebbe?
«Sarebbe un po’ difficile per me, perché non parlo l’italiano, anche se ho antenati di Sassari».
Potrebbe farsi doppiare.
«Sì. Lo farò per il nuovo film che ho girato in Grecia, dove interpreto un uomo che incontra una ragazzina: lei all’inizio ha paura di lui e non lo sopporta, poi si legano come padre e figlia».
Capisco che una ragazzina possa aver paura di un uomo come lei.
«Lo so, la gente pensa che sono grande e forte, e magari faccio un po’ paura. Non mi dispiace. Ma io sono un duro dal cuore tenero».
Visti i suoi trascorsi – come il famoso colpo di kung fu appioppato a un tifoso, con conseguente squalifica di nove mesi – lei sembrerebbe soprattutto un istintivo.
«Mi piacciono gli uomini dotati di animalità, che non si basano solo sulle regole. Nel calcio come nella recitazione. È giusto che ci si prepari ma poi, quando viene il momento, ci si deve buttare, seguire il proprio istinto. È così che si riesce a dare qualcosa di speciale, non solo ciò che gli altri si aspettano».
Nel caso del Mio amico Eric, chi è che si è buttato in questa idea: lei o Ken Loach?
«La prima idea è stata mia, poi Loach l’ha presa e sviluppata liberamente. Spero che faremo altre cose insieme».
Secondo lei, al cinema o a teatro la gente viene a vederla perché è stato un famoso calciatore?
«Non mi interessa il perché. L’importante è come vivono l’esperienza, come escono alla fine del film o dello spettacolo e se, anziché Cantona, hanno visto il personaggio che interpretavo».
Lei – che in questo film è stato diretto da un regista «hard» – il porno lo vede mai?
«No. Però, non penso che se uno viene dal porno, nella vita non può fare altro. Ognuno può essere grande, da qualunque esperienza provenga. La gente cambia, non bisogna incasellare le persone. L’importante non è dove ti esprimi, ma quello che hai da esprimere».
Con gli allenatori, in passato ha avuto alcuni scontri. Con i registi come si pone?
«Allenatore e regista sono mestieri simili. Io amo lavorare con qualcuno che abbia una personalità forte, con cui possa discutere. La gente pensa che a me obbedire non piaccia. Ma non è così. L’importante è che mi si dica come stanno le cose: devo sapere dove andare e perché».
E adesso dove vorrebbe andare?
«Dai miei amici, mi chiamano…».

Marina Cappa