Simone Rebuffini, Gioia 6/8/2012, 6 agosto 2012
SIRIA DOVE I RICCHI NON PIANGONO
Un altro massacro a Homs? Stasera si va all’Opera. Anche oggi cento morti ad Aleppo? Dimentichiamoli con un bel tuffo nella piscina del Dama Rose Hotel. Nel deserto di ogni guerra c’è sempre un’oasi di pace artificiale, una nicchia di assurdo benessere: risate che si alzano sopra il rumore degli spari. In Siria l’oasi è sempre più ristretta e si trova a Damasco, la capitale: dopo mesi e mesi di scontri il cerchio si va chiudendo sul regime di Bashar al-Assad e sulla bella vita della classe dirigente. L’oasi sta diventando una cittadella sotto assedio, non solo psicologicamente. Scappare all’estero non è facile, soprattutto se il numero uno resta al suo posto. Si racconta che anche la moglie del dittatore, Asma, ci abbia provato con i figli, ma sia stata bloccata dal cognato Maher, il duro che comanda i pretoriani della Guardia Repubblicana. Nessun cedimento: bisogna dare l’impressione che la vita vada avanti come al solito. E allora un altro tuffo in piscina, un po’ di insana shopping therapy nelle boutique di moda occidentale in via Shukri al Quatli, una bella festa di matrimonio al ristorante Le Jardin. Le elite francofone di Damasco, (soprattutto) volenti o (poco) dolenti, vanno avanti come se niente fosse. Anzi. L’ordine è serrare le fila: possibilmente davanti al banco dei cocktail a bordo piscina del Dama Rose Hotel, con la voce di Adele in sottofondo e una ballerina russa che ancheggia. Mentre al fronte si ammazzano ribelli e soldati la jeunesse dorée beve birra libanese con limone e sale, mentre sopra i tetti sempre più spesso sale il fumo delle bombe e il ta-ta-ta degli elicotteri. Nei quartieri periferici di Douma e Barzeh gli scontri sono quotidiani. Ma Dima, star della tv siriana, racconta a una giornalista di Newsweek di non aver mai avuto tanto lavoro. In piscina una ragazza gioca con un cannone ad acqua spruzzando gli amici. Ride dicendo di appartenere alla Shabiha, la milizia pro-Assad che, in questi 15 mesi, ha massacrato anche donne e bambini. Quella ragazza probabilmente non lo sa, come non sa che la polizia segreta tortura gli oppositori in carcere: l’oasi in cui vive è ricoperta da quella gigantesca bolla che è la propaganda governativa.
Succede a ogni tramonto di regime: da Saigon a Baghdad, dall’antica Roma alla Berlino nazista. In alto i calici mentre la città brucia. Ci sono gli illusi, i giocatori d’azzardo, i gaudenti estremi, gli intrappolati. Ci sono gli artisti convinti di avere una missione, come i musicisti dell’orchestra dell’Opera guidata da Maria Arnaut, 34 anni, violinista. «Non vogliamo dare l’impressione di essere come l’orchestrina del Titanio», dice una strumentista che vede piuttosto una similitudine con i colleghi russi che continuavano a suonare nella Leningrado assediata dai nazisti: «In tempi come questi la musica e l’arte sono il combustibile dell’anima».
Nelle vie di Damasco la gente comune fa ore di coda per la benzina. Mentre i rampolli degli alti burocrati pianificano improbabili studi negli Stati Uniti. La bionda e statuaria Maria Saadeh, architetto eletta di recente in Parlamento, spiega che non è vero che Assad ordina i massacri: «È tutta colpa dei combattenti stranieri, vogliono cambiare la nostra cultura». E anche la couture: forse nell’ombra dei loro armadi le donne della Damasco dorata hanno già cominciato a inscatolare i preziosi sandali di Christian Louboutin, lo stilista francese amatissimo dalla First Lady. Louboutin ha una casa di vacanza in Siria. Forse l’ha già venduta.
Simone Rebuffini